IL NUMERO

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Negli ultimi anni il divario con gli altri paesi europei è diminuito, ma attraverso le statistiche dell’Istat scopriamo che l’abbandono scolastico in Italia è ancora molto alto, con una media del 14% e picchi superiori al 27% (in Sicilia). Nel 2016 in Italia il 16% di studenti ha lasciato gli studi, mentre la media europea è al 10%; nello stesso anno la percentuale di diplomati fra i 25-34 anni era del 71%, contro la media dei paesi Ocse dell’82%. Uno dei motivi è che in Italia il 12,5% del totale di bambini e ragazzi vive in povertà assoluta (quasi un milione e 300 mila!)

Da un rapporto di Save The Children sulle cause dell’abbandono scolastico emerge che i quindicenni che vivono in famiglie disagiate hanno quasi cinque volte in più la probabilità di non superare il livello minimo di competenze, nei test PISA OCSE, sia in matematica che in lettura rispetto ai loro coetanei che vivono in famiglie più benestanti (24% contro 5%).

Uno studio inedito contenuto nel dossier di Save the Children dimostra che i fattori che aiutano i ragazzi ad emanciparsi dalle situazioni di disagio sociale ed economico sono: l’aver frequentato un asilo nido (+39% di probabilità), una scuola ricca di attività extracurriculari (+127%), dotata di infrastrutture adeguate (+167%) o caratterizzata da relazioni positive tra insegnanti e studenti (+100%). Al contrario, per i minori le probabilità di sviluppare percorsi di resilienza si riducono tra il 30% e il 70% se vivono in contesti sociali con alti tassi di criminalità minorile e dispersione scolastica, e di quasi due volte se risiedono in aree dove la disoccupazione giovanile è più alta della media nazionale. È importante anche mettere in conto che spesso le aule non sono in grado di accogliere classi molto numerose, e che con 25 allievi diventa molto più difficile fare lezione per gli insegnanti o mettere in pratica sistemi didattici cooperativi coinvolgendo maggiormente gli alunni.

L’abbandono scolastico è anche legato alla motivazione ad apprendere degli alunni: se da un lato la motivazione ad apprendere è una questione di predisposizione personale, dall’altro si parte spesso dall’idea di considerare l’intelligenza come una cosa ben definibile e unica, per la quale siamo sufficientemente “abili” e che a volte non siamo in grado di raggiungere. La scienza però ci dimostra che non esistono due cervelli uguali: abbiamo tutti abilità, intelligenza e doni diversi. Ma la scuola continua a far passare tutti dalla stessa porta. Se un dottore prescrivesse la stessa medicina per tutti i suoi pazienti, molti di loro morirebbero. Albert Einstein disse: «Se giudichi un pesce per la sua abilità ad arrampicarsi sugli alberi, allora passerà tutta la sua vita a pensare che è stupido». Siamo tutti diversi e abbiamo sogni, bisogni, necessità diverse.

Lo psicologo e docente statunitense Howard Gardner, che studia e classifica l’intelligenza, ha definito molte intelligenze diverse: quella umanistica e quella logico-scientifica, emozionale e relazionale, musicale o visiva e molte altre. Se si valorizzassero i vari tipi di intelligenza degli studenti, la loro motivazione sarebbe molto più alta, e di conseguenza anche l’importanza della scuola nelle loro vite.