«A dodici anni dipingevo come Raffaello, però ci ho messo tutta una vita per imparare a dipingere come un bambino». Diceva questo forse perché bambino non lo è mai stato, o almeno non in campo artistico, Pablo Picasso, nato a Malaga il 25 ottobre del 1881. 
Sono le 23.15 e in Plaza della Merced viene alla luce uno degli artisti più importanti del XX secolo, una figura di snodo tra la pittura ottocentesca e l’arte contemporanea.
Picasso era figlio d’arte: il padre Don José Ruiz y Blasco (il nome d’arte “Picasso” deriva dal cognome materno) era un pittore modesto, insegnante di disegno alla Scuola delle Belle Arti. Nelle vene del piccolo Pablo scorre, da sempre, la passione per la pittura, tanto che, secondo sua madre, le prime parole da lui pronunciate furono «piz, piz» abbreviazione dello spagnolo lápiz, cioè matita.
Il padre Don José, che aveva intuito lo spiccato talento del figlio, lo valorizzò, introducendolo negli ambienti dove operavano i grandi maestri. Risale al 1888-9, quando Picasso aveva solo otto anni, il primo dipinto Il picador, opera di un bambino che, però, rivela già un’eccezionale abilità tecnica.
La produzione artistica di Pablo Picasso può essere racchiusa in tre periodi fondamentali: il periodo blu, il periodo rosa e il cubismo. Il periodo blu (a partire dal 1901) presenta opere caratterizzate da toni freddi, in cui vi è una prevalenza del blu come il colore che meglio può interpretare la decadenza che Picasso vedeva attorno a sé, in una fase difficile della sua vita.
Il successivo periodo, quello rosa, iniziato nel 1904 e protrattosi per tutto il 1905, vede, invece, opere caratterizzate da colori tenui, calmi, colori che meglio rappresentano i motivi ludici ritratti nei quadri di quel periodo.
È per il cubismo, comunque, che Picasso è passato alla storia: inventore di un nuovo movimento artistico, ha rivoluzionato il modo di dipingere, cambiando la forma alle cose e permettendo, così, di raffigurare l’oggetto nella sua interezza: non solo in modo frontale, ma secondo le tre dimensioni.
