ATTUALITÀ IL PERSONAGGIO STORIE

Quando Papa Giovanni XXIII distinse “errore” da “errante”

L’evento fa oramai parte della storia: non solo della Chiesa cattolica, ma anche, se non soprattutto, di una nuova, pur travagliata, coscienza e convivenza civile. Fu quando Giovanni XXIII distinse tra errore ed errante, liquidando nei fatti la scomunica anti-Pci di Pio XII, tra le ire dei potenti cardinali anti-conciliari.

Entrato in conclave il 25 ottobre del 1958, il cardinale di Venezia, Angelo Roncalli, fu fatto papa appena tre giorni dopo senza veri contrasti. Amò definirsi pontefice di «provvisoria transizione» (dopo il lungo e controverso regno di Pio XII), mentre una miriade di definizioni di tono assai polemico furono coniate dalla fortissima destra curiale, convinta di un fenomeno rapidamente liquidabile, se non altro per l’età già avanzata del pontefice. In realtà, quel bonario patriarca si rivelò presto per quel che voleva essere: l’architetto di un vasto programma di rinnovamento della Chiesa culminato nella celebre enciclica Pacem in terris, promulgata l’11 aprile 1963, appena tre mesi prima della morte di Roncalli.

Attenzione a quel momento, ora, per la contemporanea presenza di tre protagonisti di quello che il grande storico inglese Eric J. Hobsbawm amò definire “il secolo breve”. Non c’è solo papa Roncalli in Vaticano. Ma in Unione Sovietica c’è al potere Nikita Krusciov, la cui direzione (del partito e dell’esecutivo) ha dato una nuova, seppur contraddittoria, agilità alla politica estera, in un Paese che aveva vissuto la lunga e tremenda stagione staliniana e dei suoi epigoni. E negli Stati Uniti, la presidenza di J.F. Kennedy ha imposto un rinnovamento, anch’esso contraddittorio (si pensi alla continuazione della guerra in Vietnam), degli orientamenti della più grande potenza mondiale. Eppure nessuno dei grandi problemi internazionali è stato risolto o almeno avviato a soluzione, per giunta con la minaccia atomica che pesa più che mai: tra il 15 e il 28 ottobre del 1962 il mondo arriva sull’orlo del disastro nucleare, con la spedizione dei missili sovietici a Cuba.

Di fronte alla drammaticità della situazione, papa Giovanni, pur essendo contemporaneamente impegnato nei lavori del Concilio ecumenico, interviene con la forza del suo prestigio, della sua straordinaria popolarità e della stessa novità del Concilio (insisto: contrastata duramente all’interno delle gerarchie cattoliche) e verga un appassionato messaggio rivolto «a tutti gli uomini di buona volontà», consegnandolo agli ambasciatori di Usa e Urss: «Supplichiamo [i dirigenti delle due grandi potenze] perché facciano tutto ciò che è in loro potere per salvare la pace […]. Promuovere, favorire accettare trattative ad ogni livello e in ogni tempo, è norma di saggezza e di prudenza».

E la pace, grazie anche all’intervento del papa, viene salvata.

Si coglierà più tardi, con la Pacem in terris, il nesso forte tra quel messaggio e l’enciclica, assolutamente “laica” anche per il passaggio – davvero rivoluzionario – sul rapporto tra ideologia e vita comune. Sottolineerà lo scomparso padre Ernesto Balducci che il segno più forte di questa enciclica è il vero e proprio salto dall’antagonismo ideologico – proprio della prioritaria, ostinata scelta di papa Pacelli – al servizio evangelico: non per nulla il documento non è rivolto alle istanze ecclesiastiche, ma daccapo (ecco di nuovo lo stesso segno) a tutti gli uomini di buona volontà. Il progetto che il documento illustra non è dedotto da principi cattolici, o più genericamente cristiani, ma è il prodotto, lo specchio delle aspirazioni dall’umanità “attuale”. Ed è costruito su una precisa identificazione dei segni del tempo nostro, ivi compresa, con evidente allusione al comunismo, la diversità tra le dottrine, i concreti movimenti storici e i singoli militanti.

È – ci siamo, dopo una digressione solo apparente – l’affermazione della già accennata, subito notissima, distinzione tra errore ed errante. E, quel che più conta, ecco l’illuminante definizione dell’errante (l’errore è noto…): «L’errante è sempre e anzitutto un essere umano e conserva in ogni caso la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità». Apriti cielo: la destra vaticana reagì di brutto (esattamente come fa oggi di fronte alla strategia di Francesco: non si parla anche di complotti?). Uno per tutti gli ultras, intervenne con durezza elefantiaca il cardinale e allora arcivescovo di Bologna, Giacomo Biffi. Disse il porporato: «principio giustissimo, però non potevo dimenticare che la storica saggezza della Chiesa non ha mai ridotto la condanna dell’errore ad una pura e inefficace astrazione [e dunque] il popolo cristiano va messo in guardia.»

Da chi, è facile intuire. Il cardinale Biffi, scomparso qualche anno fa, già si era qualificato con una famigerata esortazione razzista ai governi europei: «privilegiare l’ingresso degli immigrati cattolici, mentre quelli musulmani vengono da noi risoluti a restare estranei alla nostra umanità, individuale e associata».

Chi ha vinto nel tempo? E chi ha conquistato un posto nella memoria storica civile e religiosa?