IL NUMERO

50

Sono gli anni trascorsi da quando la casa editrice Il saggiatore pubblicò in italiano il saggio Understanding Media: the extensions of man (1964), del sociologo canadese Marshall McLuhan.  Era il 1967 e Gli strumenti del comunicare, questo il titolo scelto per i lettori italiani, ha rivoluzionato il modo di intendere la comunicazione, e di parlarne, e da quel momento sono state molte le teorie di McLuhan che ci hanno aiutato a comprendere la società degli ultimi anni.
Con la famosa, e spesso abusata, affermazione «il mezzo è il messaggio», McLuhan ci ha portato a capire un’evidenza, fino a quel momento ignorata: che il mezzo, lo strumento che utilizziamo per comunicare, determina anche il contenuto del messaggio. I media non sono neutri e la loro natura intrinseca dà accezioni e significati diversi all’informazione tramessa.
E i mezzi non sono solo quelli che tradizionalmente così classifichiamo – la radio, la tivù, il giornale -, ma anche tutto quello che serve a trasmettere informazioni e che, proprio per l’assunto di McLuhan, influenza  anche il contenuto.
Partendo da un’analisi dei media elettrici e delle possibilità di collegamento diretto, in tempo reale, a questi connessi, McLuhan, nello stesso saggio, parla del concetto di «villaggio globale»: un mondo in cui le distanze, attraverso la comunicazione – intesa come messaggi e strumenti -, si annullano, in cui la terra si rimpicciolisce tanto da poter essere paragonata, appunto, a un villaggio.
Questa idea porta in sé anche un altro concetto, rivoluzionario per gli anni Sessanta, ma quanto mai attuale nell’epoca dei social media: se con la stampa, dice McLuhan ne Gli strumenti del comunicare, si erano create gerarchie, specializzazioni, differenziazioni, che avevano portato il mondo occidentale a dominare l’informazione e imporre su altri la propria cultura, con i media elettrici (il sociologo si riferisce alla televisione e all’automazione, ovvero gli albori dell’informatica) si può avere l’effetto inverso. Voci diverse possono trovare strumenti e spazi per parlare, riportando la cultura orale nella tradizione alfabetizzata, e questo può aprire infinite possibilità, ma anche generare nuove forme di conflitto.
Il «villaggio globale» di McLuhan, vicino e connesso, non è necessariamente un luogo pacifico, ma può essere anche sede di conflitti, che si possono esaurire persino in modi diversi rispetto a quelli conosciuti.
Rileggere adesso questo saggio, alla luce del mondo moderno, dominato da nuovi media, che sempre più danno voce a chi altrimenti non avrebbe diritto di parola (pensiamo all’uso dei Social nei paesi sotto dittatura o all’importanza della rete nel reclutamento di nuovi adepti da parte dei terroristi), può essere ancora quindi illuminante.
E può aiutarci a ricordare che annullare la distanza non significa colmarla, che le migliaia di messaggi presenti hanno tutti il diritto di essere espressi e forse ascoltati.
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