È il numero dei morti dell’ultima e più grave carneficina di civili, mai avvenuta negli Stati Uniti. Ancora più terribile del massacro nel liceo di Columbine nel 1999, costato la vita a 12 studenti e un insegnante. Peggio della strage della discoteca Pulse di Orlando, in Florida, a giugno 2016, 49 morti.
Questa volta la follia omicida ha il volto di un pensionato di 64 anni, Stephen Paddock, bianco, americano. Quello che il fratello ha definito «un tipo qualunque senza particolari convinzioni politiche o fede religiosa», domenica 1° ottobre, alle 22 circa ora locale, si è piazzato a una finestra del Mandalay Bay Hotel di Las Vegas e ha sparato all’impazzata su una folla di circa 40.000 persone, radunate sullo Strip per seguire la maratona country “Route 91 Harvest Festival”.
Sono stati 527 i feriti, alcuni di loro in condizioni disperate. E se i tiratori scelti non avessero fatto incursione nella stanza che il pensionato aveva trasformato in un arsenale, il numero delle vittime sarebbe stato molto più altro. L’uomo aveva piazzato ben 19 fucili alle finestre della due stanze comunicanti che aveva preso. Si è suicidato al momento dell’irruzione, portando con sé le motivazioni di questa carneficina, se motivazioni possono esserci.
Inevitabile il collegamento con quanto accaduto il 13 novembre 2015 al teatro Bataclan di Parigi o a Manchester al termine del concerto della star delle teenager Ariana Grande, che sono costati la vita rispettivamente a 89 e a 22 persone. Allora era stata la mano dell’Isis, che per ora l’Fbi esclude possa avere collegamenti con Paddock. Stavolta è «pura malvagità», come ha commentato la Casa Bianca? Una cosa è certa, la follia non ha colore.