IL NUMERO

622.000

Sono 622.000 le persone che appartengono all’etnia musulmana dei Rohingya, costretti a scappare negli ultimi mesi dal Myanmar (la Birmania) verso il Bangladesh, a causa degli attacchi delle forze militari governative. Una situazione talmente grave che le stesse Nazioni Unite hanno definito questa minoranza come una delle più perseguitate al mondo e hanno parlato di pulizia etnica nei loro confronti. Anche il premio Nobel per la pace Auung San Suu Kyi, oggi ministra degli Esteri e consigliere di Stato del Myanmar è stata duramente criticata per non aver preso una posizione forte contro alle persecuzioni dei Rohingya.

A partire dal 2012, infatti, poco meno di un milione di Rohingya vivono in Myanmar, altri sono stati relegati in ghetti o sono fuggiti in campi profughi in Bangladesh e sulla zona di confine tra Thailandia e Myanmar. Più di 100.000 vivono in campi per sfollati, anche perché le autorità hanno proibito loro di lasciarli.

Da alcuni giorni stanno facendo il giro del mondo, sulle tv, su internet e sui social, le drammatiche immagini di uomini, donne, bambini e anziani in fuga in mezzo ai campi, lungo i sentieri di montagna, che guadano fiumi con le poche cose raccolte in fagotti e tenute sulla testa per non farle bagnare.

Dal 27 novembre, infatti, è in corso in Myanmar e in Bangladesh la visita di Papa Francesco, che ha portato di nuovo all’attenzione dei media il dramma di questa minoranza etnica. In questa occasione, i vescovi birmani avrebbero suggerito al Pontefice di non pronunciare mai la parola rohingya durante la sua visita, perché la gente, ma soprattutto gli apparati militari non gradiscono questo termine.

Nel penultimo giorno del suo viaggio, Bergoglio, in Bangladesh, ha chiesto perdono ai Rohingya «per l’indifferenza del mondo» sulle persecuzioni che stanno subendo, pronunciando per la prima volta la parola diventata tabù anche nella chiesa birmana.

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