Accoglie ogni anno 350 pazienti, vittime di tortura e violenza politica, rifugiatesi sul suolo francese e provenienti da una quarantina di Paesi, i quali vengono presi in cura da un’équipe pluridisciplinare, composta da medici, psicologi clinici, nonché da giuristi, avvocati ed assistenti sociali. Si chiama Centre Primo Levi ed è la più importante struttura che esiste in Francia dedicata all’accoglienza e alle cure di queste persone.
È nata nel 1995 per volontà della sezione francese di Amnesty International, di Médecins du Monde, dell’ACAT, la Action des Chrétiens pour l’abolition de la torture, di Juristes sans frontiere.
Grazie all’opera di volontari e agli aiuti solidali, agendo indipendentemente dalle organizzazioni politiche, statali e religiose, il Centro continua la sua missione da ormai 22 anni, prestando le cure necessarie alle vittime di tortura, difendendo il loro diritto d’asilo e formando professionisti che intendano lavorare in questo settore.
L’articolo 5 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, afferma con risolutezza l’interdizione della tortura: «Nessuno – vi si legge – sarà sottomesso a tortura, né a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti». Le sofferenze conseguenti alla tortura lasciano tracce fisiche, cicatrici, disabilità, danni ad organi ed apparati del corpo umano. E, purtroppo, segnano l’anima: le violenze psicologiche subite marchiano in modo permanente le persone che ne sono state vittime, ed esse vanno aiutate a riacquistare serenità e fiducia in se stesse e negli altri.
Oltre ad essere un luogo di cura, il Centro svolge un ruolo importantissimo nel testimoniare quali terribili effetti siano causati da trattamenti crudeli ed umilianti, che mirano ad intaccare il nucleo profondo di umanità delle persone. Per questo, tra le sue iniziative, il “Primo Levi” fornisce un servizio di documentazione sui temi dell’esilio e degli esiti traumatici della violenza politica. Ed ancora pubblica la rivista trimestrale “Mèmoires” ed organizza, con cadenza biennale un convegno di riflessione ed approfondimento.
È proprio da questo intento, dalla volontà tenace della testimonianza, che fu deciso di intitolare questa importante istituzione a Primo Levi, il grande scrittore italiano, che – in Se questo è un uomo prima, e in molti altri libri poi, ed ancora nella instancabile partecipazione a lezioni nelle scuole e ad incontri con studenti e giovani, o nella generosa concessione di interviste sui giornali, in radio, alla televisione o nella puntuale risposta alle tante lettere che gli erano indirizzate – diede voce all’indicibile male esperito ad Auschwitz, dove fu deportato e al dolore, alla sofferenza, alla rabbia, al vortice di pensieri e sensazioni di quanti possano trovarsi in situazioni analoghe a quelle vissute nel Lager.
Lager al quale egli riuscì a sopravvivere – come documenta l'”appassionata” biografia Questo è un uomo pubblicata da TESSERE – grazie alla convergenza di una serie di fattori – alcuni fortuiti, altri connaturati, altri acquisiti, a partire dalle sue competenze di chimico, per le quali fu dichiarato abile al lavoro nella Buna-Werke, la fabbrica di gomma sintetica del lager, e quindi non ancora prescelto allo sterminio, fino ad una miracolosa faringite che lo sottrasse all’ultimo esodo, o a qualche spicciolo di tedesco, indispensabile per “salvarsi” imparato studiando il bismuto o il cesio.
Fu dunque per la sua testimonianza storica, per il valore simbolico ed umano della sua vicenda, che 22 anni fa – otto anni solo dopo la sua morte – venne proposto il suo nome per battezzare quel luogo di cura ed accoglienza che per molti è una “tregua”. Proposta che fu immediatamente accolta, d’intesa con i suoi figli, da Lucia Morpurgo, la moglie di Primo Levi, la quale fin da subito ha sostenuto il centro e le sue attività, impegnandosi in questo senso fino alla morte, avvenuta nel 2009.
«L’intitolazione di questa attività a Primo Levi – scrive al riguardo Serena Nicolasi, del Centro internazionale di studi Primo Levi che ha sede a Torino – non è stata casuale, sin dall’inizio. Non solo per come le violenze di oggi rimandano alle tragedie del secolo scorso. Ma per una relazione più diretta e profonda fra l’esperienza del testimone e quella di chi opera per facilitare l’emersione del trauma; tra lo sforzo di chi ha provato a liberarsi dai propri incubi raccontando l’estremo e, con questo, ha messo in guardia i suoi simili, e il vissuto concreto di chi oggi cerca una nuova vita fuggendo dall’oppressione e dalla violenzacuore».
I celebri versi che danno il titolo alla raccolta di poesie di Primo Levi, Ad ora incerta – versi di dolore provati nel fango di un campo di sterminio in Polonia e capaci oggi di rivivere sul volto di ogni bambino, donna, uomo, giovane, anziano che abbia conosciuto la tortura e la conseguente pena del sopravvivere, sono stati riportati nel sito del Centre Primo Levi:
«Depuis lors, à une heure incertaine,
Cette souffrance lui revient,
Et si, pour l’écouter, il ne trouve personne,
Dans la poitrine, le cœur lui brûle»
Le Survivant».
«Dopo di allora, ad ora incerta,
Quella pena ritorna,
E se non trova chi lo ascolti
Gli brucia in petto il cuore».
Informazioni: Centre Primo Levi, 107 Avenue Parmentier, 75011 Paris, France, tel. +33 1 43 14 88 50, www.primolevi.org