Dice, «giocando con un guanto che si era tolto», Anna Karenina nell’omonimo straordinario romanzo di Tolstoj: «Io penso… io penso… se è vero che ci sono tante sentenze quante teste, così pure tante specie d’amore quanti cuori».
Se è vero, naturalmente. Ma se è vero – e se è vero che sulla Terra siamo quasi 8 miliardi – vero è anche che ci sono 8 miliardi di modi d’intendere questo sentimento o quel che è… una passione, una devozione, un assoluto, una passeggiata, un gioco, una condanna, o quel che è.
E, dunque, non c’è l’amore, ma ci sono gli amori, e molteplici e multiformi sono allora anche le attività sessuali ad esso spesso connesse: si dice «far l’amore», ma esistono anche i verbi “scopare”, “copulare”, “trombare” e mille altri ancora, un po’ come i baci destinati a Lesbia del Quinto carme di Catullo, un inno all’amore.
Accettarli per tali, portar loro rispetto, non condannarli quantunque abbiano distanze siderali da come noi intendiamo l’amore, potrebbe esser esso stesso una forma d’amore.
A questo mira l’amorosa e un po’ stuzzicante rubrica Amori e dintorni di TESSERE che esordisce oggi con l’intento di dar conto di essi aprendoci alla comprensione che in latino è propriamente “prendere insieme”, “contenere in sé”, “abbracciare”.
Ecco, abbracciare, un’altra cosa che i latini dicevano con la parola complexūs, la quale indica “stretta”, “abbraccio”, ed “attaccamento”, “legame affettivo” e ancora “nesso”, “relazione”, “collegamento”, “rapporto”, e pure “urto”, “scontro”, “baruffa”, “lotta”, “rissa”: mai che le cose vadano in un verso solo.
«… si haec mala fixa sunt, ego vero te quam primum, mea vita, cupio videre et in tuo complexu emori», scriveva da Brindisi Cicerone, nell’Epistola 4 del Libro 14, alla moglie Terenzia ed ai suoi due figli. «… ma se queste sciagure sono stabilite per sempre – si traduce –, io non desidero, vita mia, che rivederti al più presto e morire fra le tue braccia».
Ma abbraccio in latino si dice anche amplexŭs, il cui significato è principalmente “amplesso”, e pure “carezze”, ma poi “stretta”, “circonferenza”, “circuito”, ed anche le “spire di un serpente”.
Gli abbracci, sostengono stimati psicanalisti ed altre menti a cui si è dato voce nel blog “Guardare negli occhi l’assurdo” (vedi qui), son medicinali, ma, a differenza di quelli trovati in farmacia, non hanno controindicazioni ed effetti collaterali.
Si farebbe torto ai greci se non si dicesse che anch’essi d’amore se ne intendevano, tanto da avere nel loro vocabolario tre parole per indicarlo: l’agape, la filìa e l’eros.
Alternarli, scoprirli, conoscerli, provarli, accumularli, accomunarli, ammucchiarli, acculturarli, praticarli, percepirli, perseguirli, penetrarli e farsi penetrare da tutti e tre ha del paradisiaco – che è un modo per dire il contrario di infernale per chi queste alcove post-mortem se l’è ingegnate – cioè del gaudente per chi è più terra terra, in ogni caso conduce al piacere, il cui contrario – ricordarlo è salutare – è il dolore e questo si dice anche male, perciò, checché se ne dica, il piacere è bene.
Lo sosteneva Epicuro, greco anch’egli, che non era affatto un’epicureo così come viene comunemente detto oggi, anzi. Insegnava a perseguirla quella méta, anzi a raggiungerla, e proprio per questo diceva, bisogna saper attendere, posticipare, rallentare, non incaponirsi a volerla raggiungere, perciò ad aver consapevolezza, ed anzi meglio, anche saggezza.
Gli faceva eco Socrate – o a lui Epicuro faceva eco, essendo nato dopo – il quale in materia di saggezza è considerato un senza pari, ed anche nel diletto non si faceva mancare niente, ma giustappunto dandosi dei limiti, a cominciare dal “sapere di non sapere” e, per quella via, dal “conoscere se stessi”.
Ora si applichi ai reconditi ma sconfinati territori del sesso la socratica consapevolezza della propria ignoranza, e perciò l’invito ad esplorare ed accrescere conoscenza e conoscenze, tenendo ben saldo il principio che è iniziando con il guardare il proprio ombelico – non quello altrui, se non lì poco sotto – che si può scoprire il mondo e poi anche le stelle, i pianeti ed universi ancor più lontani, per non dire di chi ci vive attorno o anche in altri continenti. Ebbene, non c’è molto altro da aggiungere, basta un po’ di fantasia, lasciar che cervello, cuore, ghiandoline e ghiandolette, interstizi e protuberanze vadano da sé.
Quasi coetaneo di Socrate – nacque un secolo prima, all’incirca – un proto-epicureo nato in Nepal quasi al confine con l’India, visse dando insegnamenti più con il proprio modo d’agire che con carta e penna (fossero esistite all’epoca!) e riflettendo su quel che si dice abbia fatto, pensato e detto, se ne possono trarre benèfici suggerimenti anch’essi capaci di procurar piacere, ridurre il dolore, addirittura mandare in estasi, come si dice quando si ha un orgasmo.
Si chiamava Buddha, o più precisamente Gautama Buddha ed anche Siddhattha, e c’è chi lo onora ancor oggi – tirandolo magari un po’ in qua e un po’ in là, dove in realtà si ha voglia di andare – come si fa con Gesù Cristo e Maometto, dimenticando spesso tutto quello che dell’amore hanno detto.
Sì perché in entrambi l’argomento non è affatto marginale, e di Cristo, anzi, si deve dire fosse quasi un pallino. Per scoprirne il volto erotico al punto da lasciarsi crocifiggere pur di non rinunciare a quel che si è – e, come avrebbe detto molti anni dopo Jung, si deve accettare «per carità cristiana», perdonandosi addirittura – nonché la passione che aveva per le donne e la com-passione che aveva per gli uomini, si possono leggere un paio di libri, attività anch’essa goduriosa come può esserlo quella di scriverli: il primo è del figlio di Dario Fo, Jacopo, e s’intitola proprio Gesù amava le donne e non era biondo (Tutto quello che non ti dicono al catechismo), pubblicato nel 2000 dalle edizioni Nuovi Mondi di Perugia. Il secondo è di Wilhelm Reich e si intitola L’assassinio di Cristo: la peste emozionale dell’umanità, uscito nel 1951 e pubblicato in Italia da SugarCo nel 1972.
Quest’ultimo autore nel campo del sesso e dell’amore è un maestro, si potrebbe dire al pari di Ovidio che ci ha lasciato l’Ars amandi; di Erich Fromm che ha scritto un libro con lo stesso titolo, L’arte di amare; di Gustave Flaubert al quale siamo debitori de L’educazione sentimentale; di Vatsyayana a cui è attribuito il Kāma Sūtra, assai più che qualche figurina su come accoppiarsi; degli ignoti a cui dobbiamo Le mille e una notte e tutta la narrativa che da lì ha tratto ispirazione; di Roland Barthes, che se dio vuole ci ha regalato i Frammenti di un discorso amoroso; di Gabriel Garcia Marques che fra una cosa e l’altra si è inventato L’amore ai tempi del colera.
Reich ha fatto di più, ad onor del vero. Perché ha elaborato una teoria sull’”energia orgonica” (La rivoluzione sessuale, Feltrinelli, 1963) che chi vuol occuparsi d’amore e dintorni non può non conoscere, la condivida o meno.
Se a tutto questo si aggiunge che, ripercorrendo il corso della storia e guardando a popolazioni lontane nel tempo o nello spazio, oppure osservando gli animali e il loro comportamento, non ci si può non accorgere che in materia di sesso ed amore facciamo spesso prevalere… «convenzioni e convenienze», avrebbe detto Dostoevskij, o quanto meno luoghi comuni, frasi fatte, pregiudizi e moti di circostanza, ce n’è a sufficienza per riflettere su queste questioni.
Che dire per esempio del fatto che, per quanto affondi le sue origini nel Diritto romano, il “matrimonio”, così come lo intendiamo oggi, per secoli non è stato praticato, se non forse fra re, regine e nobili con un “patrimonio” da difendere o estendere, e la stessa Chiesa ci ha messo del tempo (per non dir dell’arguzia) ad impossessarsene, al punto che la parola nei vocabolari tanto italiani quanto francesi – è stata questa la materia di una bella tesi effettuata da Camilla Vittoria Spagnoli all’Università di Firenze nel 2011 – è stata a lungo assente.
O ancora del fatto che c’è chi è convinto che una delle caratteristiche che costituiscono l’identità culturale europea – altro che la moneta! – il sentirsi cioè in qualche maniera appartenenti a qualcosa di comune in un’area assai ampia, dove si parlano numerose lingue, si applicano leggi diverse, si sono condotte inesorabili ed orrende guerre, affondi nell’amor cortese e poi appunto nella capacità di francesi, spagnoli, italiani, austriaci e tedeschi, di meditare sul nobile sentimento ed anche sui suoi lati oscuri.
L’approccio c’è stato, il ghiaccio è rotto, questo spazio è disponibile, magari qualcuno sente già un fremito. Ci darà una mano chi cura il blog “FilosoFiga”, spericolato, arguto ed anche divertente spazio del web, dedicato a mescolare la “filia”, che è un amore, la “sofia” che è un altro, e la vagina che è la vagina, come una rosa è una rosa, comunque la si chiami.
Con Anna Karenina, come abbiamo iniziato, chiudiamo: «Hanno inventato il rispetto per nascondere il posto vuoto dove dev’esserci l’amore».