IDEE VISIONI

Austerità: una leva
per salvare il mondo

Austerità, un termine forse "anacronistico", impiegato da Berlinguer ai tempi della politica fatta per passione e spirito di servizio. Austerità, che oggi potrebbe aprire spiragli per salvare il mondo, nell'epoca in cui anche vestirsi non è più austero

Austerità, che sarà mai?

Persino i vocabolari della nostra amata lingua si mostrano assai poco benevoli. Lo Zingarelli rimanda al sostantivo d’origine: «Qualità di chi è austero» e l’accompagna ad asceta. Poi aggiunge: «il complesso delle limitazioni imposte dal governo alle spese pubbliche o dallo stesso auspicate nei consumi privati per giungere a un risanamento economico». Alla voce austero si scopre poi che l’originale parola greca austeros sta per “duro”, “aspro” che si combina con qualcuno che ha o dimostra “una rigida e severa norma di vita”.

Ve l’immaginate oggi un qualsivoglia esponente politico che pronunci un simile sostantivo? Nella stagione del “parla come mangi” sarebbe sepolto da sberleffi e scongiuri. La lingua corrente è un fiume in piena che si porta a valle parole; alcune, poche, le raccoglie nella sua discesa impetuosa e molte le abbandona lungo i greti. Dunque, addio austerità. Così vogliono i tempi, così reclamano sovranisti e popolo sovrano.

C’è stato tuttavia un tempo in cui un signore dall’aspetto timido, riservato, fece dell’austerità una bandiera, un programma d’azione. Facendo storcere il naso non solo agli avversari, ma anche a molti dei suoi sodali d’avventura. Lui, che di mestiere faceva il politico, per vocazione e spirito di servizio, austero lo era davvero, ma non perché fosse triste, noioso, come potrebbero supporre molti benpensanti dei giorni nostri.  Era austero perché per lui la politica era passione e imponeva un atteggiamento di rispetto nelle parole, nei gesti, persino nel modo di vestire. La politica era sì un sogno di una società senza classi, ma soprattutto era realtà faticosa da maneggiare con saggezza, giorno dopo giorno.

Quest’uomo, dal fisico minuto ma dalla volontà rocciosa, lo rammento giusto quarant’anni fa al Lirico di Milano, glorioso teatro chiuso da vent’anni. Era il 1979. Parlò del compromesso storico, ribadendo l’idea lanciata due anni prima a Roma. Nel frattempo Moro era appena stato assassinato dalle Br. Sottolineò con forza la necessità di una politica d’austerità. Proprio così, austerità quale programma di governo, come modo di uscire dalla crisi.

Cose da pazzi. Ve lo immaginate uno che oggi vi chiede di abbandonare l’idea di uno sviluppo fondato su un’artificiosa espansione dei consumi individuali, fonte di sprechi, di parassitismi, di privilegi, di dissipazione delle risorse, di dissesto finanziario? Ancora in quel tempo non risuonava l’allarme sullo stato del pianeta, ma le sue riflessioni sugli squilibri tra il Nord e il Sud del mondo molto riecheggiavano gli attuali temi sullo stato del pianeta.

Anche allora non fu accolto con peana. Eppure fu testardo, come si conviene alla gente sarda. Una politica di austerità, di rigore, di guerra allo spreco, disse, è divenuta una necessità irrecusabile. Anche se comporta certe rinunce e certi sacrifici, acquista al tempo stesso significato rinnovatore e diviene, in effetti, un atto liberatorio per grandi masse, soggette a vecchie sudditanze e a intollerabili emarginazioni, crea nuove solidarietà, e diventa un ampio moto democratico, al servizio di un’opera di trasformazione sociale. Parlava di masse, ma si capiva subito che quel nome collettivo era la somma di migliaia e migliaia di volti veri, non artificiosi, di ognuno di noi.

Così una parola quale austerità, che immaginiamo oggi verrebbe accolta con sentore iettatorio, non solo dai nostri governanti in tuta perenne, assume altri significati, trascina atti liberatori, suscita nuove solidarietà. È sostantivo cancellato dal mondo dei messaggi brevi, degli insulti a stretto giro di news, fake o non fake. Anacronistico, ma di straordinaria bellezza.

Grazie Berlinguer, ti ho voluto bene.

Ps: Fermo immagine a proposito di tempi andati. Qualche settimana fa mi ha colpito sul “Venerdì di Repubblica” una fotografia di Aldo Moro vestito di tutto punto, in completo scuro con cravatta e scarpe, mentre procede con passo forzatamente incerto sulla sabbia di non so quale spiaggia. Chissà come e perché mi ha riportato alla memoria proprio Enrico Berlinguer, sorpreso dal fotografo mentre tira calci al pallone nel retro di una stazione di servizio con gli uomini della scorta, anche lui in rigoroso completo. E, prima ancora Nenni su una spiaggia in camicia e pantaloni ascellari per dirla con Fantozzi che gioca con un nipote.

Uomini goffi? Forse, ma i tre scatti mi paiono accomunati da un pudore perduto nel tempo. Oggi non si va più in spiaggia con la grisaglia, ma sulle garitte a rimirare macabri fili spinati. E poi via con le felpe d’ordinanza, da un paese all’altro. La chiamano modernità.