Autore di un corpusdi oltre 1.200 poesie in veneziano, intitolato Poesie nelle edizioni moderne, 700 delle quali furono pubblicate in volume a Londra nell’edizione postuma del 1771, Giorgio Alvise Baffo (Venezia, 11 agosto 1694 – Venezia, 30 luglio 1768) è stato anche una figura di spicco della politica nella Repubblica di Venezia.
Un numero non esiguo delle sue opere è incentrato contro la corruzione della sua città, soprattutto del clero, e su temi filosofici, ma Baffo resta noto soprattutto per i suoi componimenti licenziosi e a carattere erotico.
Definito da Giacomo Casanova «genio sublime, poeta nel più lubrico dei generi, ma grande e unico», disprezzato da Giuseppe Baretti ed Antonio Bianchi (quest’ultimo definì i suoi scritti «satira sozza e laida, che di oscene cose fa spicco puzzolente», osteggiato da Carlo Goldoni con cui ebbe una diatriba in versi, apprezzato da Stendhal e soprattutto da Guillaume Apollinaire, che tradusse in francese buona parte delle sue poesie dette barone e che di lui ebbe a dire «celebre sifilitico, soprannominato l’osceno, lo potremmo considerare il più grande poeta priapeo mai esistito, ma, al contempo, uno dei massimi poeti lirici», ed anche «poeta dell’amore, che ha cantato con la massima libertà e con grandiosità di linguaggio», Giorgio Baffo è stato anche al centro di contrastati giudizi in epoca recente: Guido Almansi lo ha definito «meraviglioso cantore della mona», mentre Ludovico Zorzi ha sottolineato il valore storico-sociale dei suoi scritti. Pier Paolo Pasolini è stato, in particolare con un articolo pubblicato sul “Corriere della Sera” il 1º novembre 1974, uno dei più lucidi interpreti dei valori della sua poesia.
Il poeta Fabio Strinati a Giorgio Alvise Baffo ha dedicato 5 lipogrammi, ovvero poesie scritte con una tecnica che prevede di non usare mai una determinata lettera, in questo caso la P. TESSERE è lieta di pubblicare questi 5 inediti.
Il verseggiatore
A Giorgio Alvise Baffo
Lipogramma senza la lettera P.
Di smalto è cornice in versi
e schietto l’umore
sui vecchi fogli in àuge,
scaffale abusa l’odor
lodevole non di rado
isolato calére
sfiora non arretra
oltre quel confine nato!
Sottile sguardo, abito
innato vivido tavolo
o cava di fertili idee
o svariate le combinazioni,
cadùco è celere l’amore
ché sommo e delirante.
*
Sonetto andante
voce chiama e richiama
scalino un verso il nife,
nèroli estetici quel tatto
gusto che ravviva erotismo
archivio l’essenza
corolla sulla cima;
mai un rèbus
d’ironia sulla soglia attenta
gli occhi tuoi, svegli
reagènti e dal tono greve
grado anfratto nell’abisso.
*
Letture licenziose
ritagli da un giornale
quel secréto
inquieto lume
o fioca lucela certezza rara d’un vézzo;
corteggia visione,
salùbre debole chiarore
e una sortita nel sillabario
calligrafia tagliente,
ciclo d’orgoglio sebàceo.
*
Matto sono e schietto
vado e vengo
come da un favo
tela di ragno
narro forma
guado i confini delle rime:
oltre le vie escreato
il sunto di una cremagliera
ronzano mollézze, saltano
guizzano i colombi
ascesa o cellula
ché Venezia novellame
d’arte e di mestieri.
*
Dignità sconcezze varie…
e nudo salta fuori
non la nòttua ma lume
l’ironico tracciato scosso,
stòcco il verso, abile
sagacia vita indubbia
quel sorso deglutisce
rischiara e ritocca;
sana è l’insonnia
di chi tormento stornèlla
ficcante in un antro
il nome esile
intermittenza di una torcia.