Il 28 settembre, il 5 e il 12 ottobre del 1973 Enrico Berlinguer, allora segretario del Pci, scrive per il settimanale “Rinascita” tre articoli che avranno un’eco molto grande e sviluppi altalenanti per cinque anni. Berlinguer riflette sulla situazione italiana, all’indomani del golpe cileno del generale Pinochet, e indica esplicitamente «la prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari di ispirazione comunista e socialista con le forze popolari d’ispirazione cattolica». Si delinea così la strategia del “compromesso storico”.
Il punto di partenza del ragionamento di Berlinguer era rappresentato dalla necessità di impedire che si ripetesse in Italia quanto era appena accaduto in Cile, dove il governo democratico e socialista di Salvator Allende era stato rovesciato con le armi e il suo leader ucciso. Anche in Italia vi era, secondo Berlinguer, il costante pericolo di «spaccare in due il Paese»: «Sappiamo, come mostra ancora una volta la tragica esperienza cilena, che questa reazione antidemocratica tende a farsi più violenta e feroce quando le forse popolari cominciano a conquistare le leve fondamentali del potere nello Stato e nella società».
Una tale tendenza si era manifestata anche in Italia a partire dal 1969, quando all’attivismo studentesco e operaio si erano contrapposte la strategia della tensione, la mobilitazione dell’estrema Destra, il deterioramento della situazione economica. Insomma, le forze reazionarie stavano cercando anche in Italia di creare «un clima di esasperata tensione» che aprisse la strada a un governo autoritario o perlomeno a una svolta durevole a destra.
Per contrastare questa deriva, ecco allora la proposta di una nuova, grande alleanza che richiamava quella creata dalle forze antifasciste negli anni 1943-1947 e che aveva ora alla base il consolidamento di «un esteso e robusto tessuto unitario» (esemplare, ma solo in quel momento, la spinta irripetuta verso l’unità sindacale).
Insomma, Berlinguer è consapevole che comunisti e socialisti insieme non possono sperare di governare il Paese neppure con il 51% dei voti, e che la Dc – «realtà non solo varia ma assai mutevole» – può essere persuasa a cooperare con la sinistra: non c’è motivo di guardare ala Dc come ad «una categoria astorica» e come a un partito organicamente reazionario. Al contrario, si è schierata con le forze progressiste nella stagione del centro-sinistra.
La proposta di Berlinguer centra due obiettivi, come sottolineerà lo storico inglese Paul Ginsborg nella sua Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Essa pone il Pci al centro della scena politica; e soprattutto servirà a salvaguardare la democrazia italiana, isolando la Dc e i ceti medi da qualsiasi tentazione autoritaria. «Considerato il carattere esplosivo della crisi italiana negli anni ’70 non fu un risultato da poco».
Se sul piano strategico il “Compromesso storico” avrà echi e stimoli di grande rilievo (basti pensare alla pur cauta teorizzazione morotea delle “convergenze parallele”), sul piano tattico avrà un cammino tormentato, accidentato, ma ugualmente segnerà alcuni parziali successi. Il primo sarà rappresentato dal cosiddetto “governo dell’astensione”, e cioè il terzo ministero presieduto da Giulio Andreotti, caratterizzato appunto dall’astensione del Pci. Il secondo sarebbe stato un più consistente successo ma invece…
Il 16 marzo 1978, lo stesso Andreotti avrebbe dovuto presentare alle Camere il suo quarto governo, caratterizzato non più dall’astensione ma dalla partecipazione diretta dei comunisti, nella maggioranza almeno, ma non nel governo. Accadde tuttavia che alla vigilia, con un vero e proprio colpo di mano, le correnti più conservatrici della Dc imposero un rimescolamento della compagine ministeriale all’insegna proprio dell’inclusione di personalità da sempre avversate dal Pci: un massone che poi si scoprirà essere affiliato alla P2 di Gelli, e due noti avversari del Pci e dei sindacati.
Due ore prima che Andreotti si presentasse alla Camera per la discussione e il voto della fiducia, Berlinguer s’incontra a Montecitorio con l’allora presidente del gruppo comunista Alessandro Natta: inevitabile sarebbe stata la decisione di ritirare l’appoggio e la partecipazione alla maggioranza. Poi, mentre quell’incontro era ancora in corso, ecco la notizia (fui proprio io a darla ad un Natta incredulo) del sequestro di Aldo Moro e dell’uccisione della sua scorta. Poco dopo il Pci votò ugualmente la fiducia ad un governo diventato manifestamente di emergenza, ma che durò appena un anno. Fu l’inizio della fine del “Compromesso storico”.