EDITORIALI VISIONI

Se potete, dateci una mano

Chiedere soldi non è mai bello. Nella maggior parte dei casi perché, se lo fai, è perché non ne hai. E non averne è peggio che doverli chiedere. Ma, in linea di massima, non è bello nemmeno quando a chiedere soldi sono quelli che invece ne hanno – il che non è infrequente e di solito hanno successo – perché sotto si nasconde qualcosa, di rado nobile.

Chiedere soldi quando in giro ne circolano molti ma finiscono in mano di pochi è ancor meno bello, perché si fa i conti con le braciole (e le briciole) che uno riesce o non riesce a comprare, i debiti che accende, la fin del mese sempre più vicina a quella precedente.

Per chi non l’avesse compreso le cose stanno così: non è vero, come si dice, che c’è la crisi. C’è la crisi per chi non ne ha, l’avvertono anche quanti un po’ ne dispongono, ignorano di che si tratti ma ce lo mandano a dire, bombardandoci di messaggi, coloro i quali non battono ciglio a fare il pieno della barca ormeggiata nel porto più chic, vantano d’aver messo in tavola un tartufo, non escono di casa se la camicia non è griffata. Ed ancor più quelli per i quali il denaro, anziché sudore della fronte, è solo una volatile trasmigrazione di byte, senza nemmeno l’adrenalina dell’affollata sala di Wall Street.

La maggior parte degli individui fa finta di non vederlo, li hanno addestrati a far così. Si beano della domenica passata al centro commerciale dov’è possibile illudersi che le Nike valgano come una scarpa fatta a mano, ragionevolmente costosa, anzi cara arrabbiata. Si beano in una sorta di stordimento di poco dissimile da quello della quarta Ceres o del frenetico tasto della slot machine prima che annunci game over.

E, storditi, non vedono quanto rivela quell’1% che Maddalena Dalla Torre spiega nella rubrica “Il numero” di oggi, avendo consapevolezza del quale se ne dovrebbe dedurre che è una democrazia assai bislacca quella in cui a decidere è l’infinitesima minoranza e che le imprecazioni quotidiane, le invidie, le sole indignazioni servono a poco se non si trasformano in sommossa, in una marcia compatta, decisa ed oceanica contro il sopruso.

Del quale ha dato conto il 18 marzo scorso qui su TESSERE Antonella Blanco illustrando l’acuto libro di Luciano Canfora La schiavitù del capitale: sì, volendo, Dalle catene ci si può liberare.

«Il denaro è la cosa più volgare e odiosa che ci sia perché può tutto, perfino conferire talento. E avrà questo potere fino alla fine del mondo», ci ricorda Dostoevskij in una delle due frasi, eccezionalmente scelte doppie da Rita Martinelli nell’omonima rubrica oggi dedicata appunto ai Soldi, il cui significato viene sviscerato da Serena Bersani nella rubrica “La parola”.

Per fortuna Luigi Chicca, con “La data”, ci riporta al fatto che è tutto un gioco, per quanto olimpico, là dove era la residenza degli dèi. Sì, questa rivista, questa casa editrice, questa associazione è nata “per gioco”, per “di-vertirci” e fare qualcosa di piacevole, per chi la fa e per chi ne usufruisce, il che non significa per frivolezza o stupidità.

Ma scriviamo queste righe perché, per quanto chiedere soldi non sia mai bello, abbiamo bisogno di chiedervene, per quel che potete.

TESSERE è un’associazione senza fine di lucro, in tasca non può restare niente. I soldi che raccoglie dall’iscrizione dei propri soci li impiega per pagare i fornitori senza i quali i libri non verrebbero stampati e spediti, il sito non esisterebbe, l’Agenzia delle entrate confonderebbe la sbadataggine per evasione fiscale.

Ci piacerebbe remunerare chi impegna il proprio tempo, le proprie conoscenze, la propria passione per offrire nella “Rivista” tutti i giorni cultura, sapere, idee; per scrivere, curare, impaginare, realizzare come “Casa editrice” i libri che scegliamo sperando abbiano da dire e lascino qualcosa; per organizzare come “Associazionevisite come quella che Gian Luca Corradi ha fatto fare ad un gruppo di immigrati alla Biblioteca Nazionale o altre iniziative capaci di dare un segno.

Forse un giorno ci riusciremo, ma intanto siamo costretti a chiedere soldi. Anche a chi già collabora e non si è ancora iscritto all’associazione. A quanti ci seguono e pensano che per quanto pazzi, non siamo proprio pazzi. A chi condivide i principi che ci guidano.

Ci serve sostegno, ci serve il passa parola, il farci conoscere. Pubblicate, se potete, i nostri articoli sulla vostra pagina Facebook o ditelo al vicino di casa che vendiamo gli scritti di Gramsci sul giornalismo. Ci serve che facciate un bonifico, anche piccolo, sul nostro conto corrente, aperto in una banca dedicata proprio alle associazioni senza fine di lucro.

Scusateci se ve lo chiediamo: chiedere soldi non è mai bello. Non averne ancor meno. Grazie.

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