VISIONI VOI VISTI DA NOI

Ci sono, anche se preferireste di no

Gli occhi si volgono da un altra parte. Non è facile guardare in faccia un tetraplegico, rivolgergli la parola, tentare un rapporto con lui che non metta in difficoltà se stessi, che non apra la voragine delle proprie paure. È vero gli arti non si muovono, il corpo è come imbalsamato, ma dietro quella fronte c'è un cervello che pensa, capace di giudicare, di farsi ferire e di sapersi difendere. Ecco quello che pensa.

Gli occhi si volgono da un altra parte. Non è facile guardare in faccia un tetraplegico, rivolgergli la parola, tentare un rapporto con lui che non metta in difficoltà se stessi, che non apra la voragine delle proprie paure. È vero gli arti non si muovono, il corpo è come imbalsamato, ma dietro quella fronte c’è un cervello che pensa, capace di giudicare, di farsi ferire e di sapersi difendere. Ecco quello che pensa.

Fate come se non ci fossi. Sono 20 anni che fate così. Mentre, invece, io ci sono, lo vedete anche voi, anche se vi torna meglio convincervi che io non ci sia. Sì, su una sedia a rotelle, ma ci sono. Da quel giorno del 1997 quando – non avevo nemmeno 50 anni – un incidente mi ha reso tetraplegico.

Tetraplegico: col torso e tutti e quattro gli arti paralizzati. Tetra sta per quattro, fossero stati solo gli arti inferiori si sarebbe detto paraplegico. E invece no, tutti e quattro.

Il ramo della pianta di olivo sui cui ero salito per potarlo, si spezzò, portando a terra con lui i miei progetti, i miei programmi, la mia vita, i miei sogni. Che dico! I miei progetti, i miei programmi, la mia vita, i miei sogni di prima. Dopo me ne sono fatti di nuovi: i progetti, i programmi, la vita, i sogni di un uomo col torso e i quattro arti paralizzati, su una sedia a rotelle.

Ma ci sono. Anche se da vent’anni fate come se non ci fossi. Girate lo sguardo, se è troppo tardi lo abbassate, fate finta non ci sia, o mettete su un’aria contrita e dispiaciuta, come se fosse colpa vostra, ma con una lieve ombra nello sguardo come a dire «meno male che non è capitato a me».

Non è facendo finta che non ci sia che si risolve il problema. Io ci sono, esisto, sono vivo e non sono un vostro problema. Sono un mio problema. Io solo ho la responsabilità di quella caduta che mi ha inchiodato qui fino alla fine dei miei giorni. Io solo devo vivere con me stesso e mi devo accontentare di quanto mi è rimasto di me. Ma non è colpa vostra, voi non c’entrate, non avete alcuna responsabilità. Sono io che ho commesso un’imprudenza, che non mi sono legato al tronco di quel maledetto olivo, io che mi sentivo bene, forte e invincibile.

È stato nel momento stesso che ho toccato terra che ho capito. Poi ambulanza, soccorso, medici e infermieri, luminari a controllare la lesione. «Non c’è niente da fare». Poi solo fisioterapisti a tentare di farmi recuperare quel minimo di abilità che erano rimaste.

Pensavo «spero di imparare a muovere una mano quel tanto che basta per puntare una pistola verso una qualunque delle mie parti vitali e tirare il grilletto». Non vedevo altra possibilità che morire. Ho maledetto dio, entità astratte prelevate in ogni dove, la sorte, poi mi sono rassegnato. Per forza. Come potevo mettere fine ai miei giorni? Se anche avessi voluto buttarmi da una finestra, avrei comunque sempre dovuto chiedere a qualcuno che mi mettesse sul davanzale e mi spingesse di sotto.

Ho maledetto tutto, ma non voi. Perché non è colpa vostra. Dunque potete guardarmi mentre parlate di me e della mia salute con mia moglie. Mi potete guardare negli occhi, mentre comunicate l’estratto conto. Non dovete parlare a voce più alta, mentre mi consegnate una raccomandata. Io non ce l’ho con voi. Perché tanto imbarazzo?

Davvero fa così strano vedermi seduto qui, più in basso, che vi guardo e vi parlo come se fossi ancora in piedi? E allora, se davvero provate una tale pena per noi mezzi uomini, perché parcheggiate davanti alle rampe per le nostre carrozzine? Perché piazzate le vostre auto nei posti a noi riservati? Perché non vi spostate per farci passare sui marciapiedi? Avessi ancora le mie braccia e le mie mani vi righerei le fiancate. Potessi almeno portare io la mia sedia a rotelle vi sbatterei addosso, se serve questo per farvi capire che ci siamo.

Sì mi incazzo davvero! Siete degli incivili, siete dei maleducati, non avete rispetto per noi, sempre per lo stesso stramaledetto motivo. Fate come se non ci fossimo. Invisibili, condannati alla dissolvenza, fino a che non siete costretti a interagire con noi. Allora quella presenza pesa.

«Se non lo guardo è come se non ci fosse». Pensate questo?

«Se non incrocio il suo sguardo non si accorge della pena che mi fa». Credete questo?

Non siete tutti così, per fortuna. C’è chi ha abbastanza empatia, chi si immedesima, chi si sforza di farlo. È curiosa la vita vista da quaggiù, ma non è detto che questo punto di vista sia peggiore del vostro. È solo diverso e più faticoso. E questo sì, anche per colpa vostra e della “paura” che avete di noi.

Ma non vi maledico e non vi odio, per questo. Potete farvene una ragione. Non siamo diversi, ma solo più sfortunati e la nostra vita vale quanto la vostra.

Tags