CRITICA MOSTRE

Effetto Tintoretto

"There is a Beginning in the End", la mostra del Museo Puškin di Mosca, in collaborazione con Stella Art Foundation, alla 58° Biennale d'Arte di Venezia: Tintoretto reinterpretato da quattro artisti contemporanei, una sfida etica
Dmitry Krymov, Video installation

Emozione e meraviglia: il Museo Statale delle Belle Arti A. S. Puškin di Mosca, insieme a Stella Art Foundation riescono – nella mostra There is a Beginning in the End, appena inaugurata a Venezia nell’ambito della 58° Esposizione internazionale d’Arte – a definire un progetto organico e coinvolgente, sia sotto il profilo estetico (molto alto) che dal punto di vista dell’acquisizione di senso.

Entrare nella Chiesa di San Fantin, di fronte al Teatro La Fenice, appena restituita al pubblico dopo un decennio di restauri, è un’esperienza straniante, come si passasse attraverso più dimensioni spazio-temporali. Tutto ruota intorno al rapporto (significativo, voluto) tra gli artisti contemporanei che espongono e l’ombra del grande Tintoretto, di cui ricorre quest’anno il cinquecentenario della nascita: il risultato è un profondo cortocircuito, sensoriale e concettuale, che induce inattese riflessioni. Innanzitutto, un formidabile nonsense percettivo: nell’installazione del russo Dmitry Krymov – artista, scenografo – concepita sull’Ultima Cena che Tintoretto dipinse per la Chiesa di San Trovaso, lo spettatore assiste ad una performance in cui il dipinto viene letteralmente smontato nelle sue componenti essenziali (le quinte, i convitati, persino il pane sulla tavola), per l’intrusione di uomini in assetto da lavoro. Il Cristo stesso, interagendo con un personaggio femminile esterno, perde ogni condizione d’intangibilità. Un trompe-l’oeil, un intoppo visivo che accende un’altra realtà; c’è veramente distanza tra quel mistero e il contemporaneo? Oppure un filo rosso come il sangue, bruno come gli appretti che Tintoretto stesso preparava per le sue opere, fatti di resti di tavolozza e colla, carichi di storie e di detriti, percorre i secoli e si itera nei luoghi?

Ciò che resta, ciò che trascorre: l’entità dinamica del Maestro veneziano, così connotante, unica nell’impasto cromatico, si riverbera anche nei lavori degli altri artisti presenti in mostra. Felice la scelta delle curatrici Marina Loshak (direttrice dal 2013 del Museo Puškin) e Olga Shishko (responsabile del Museo Puškin XXI°, la sezione dedicata alle opere contemporanee) : le installazioni – create appositamente per questo evento – mantengono l’idea di quel turbine vitale, senza assumere la forma dell’omaggio retorico. Per la moscovita Irina Nakhova – artista concettuale conosciuta, come Krymov, a livello internazionale – che ha già rappresentato la Russia alla 56° edizione della Biennale di Venezia, ciò che conta è il movimento della materia, che diviene occasione per un racconto epico della Creazione: acqua, residui organici , elementi chimici che poi si fanno esseri viventi, nella mimesi tintorettiana. Le forma appaiono e si agglutinano, fino a definirsi in fiumane di uomini in marcia, migranti verso un Aperto che appare cristallino nell’oculo architettonico di San Fantin. In ogni fine – lo dice il titolo della mostra – è un inizio. Lo statunitense Gary Hill, pioniere della video arte, va invece  nel dettaglio, decomponendo – nel vortice di un suono elettronico intenso ed ipnotico – gli elementi della pittura di Tintoretto in spettri tridimensionali, pattern, entità neuronali che si avvolgono a spirale.

Al centro della navata, splendido totem dell’esistenza umana, le curatrici hanno posto una delle ultime opere di Emilio Vedova (forse il più tintorettiano degli artisti del Novecento europeo): il Tondo, cerchio del mondo rappresentato; a testimoniare come, ciclici, ritornino gli eventi, la guerra, l’oppressione, la forza dell’esistente. Sembrerebbe una conclusione corretta – importante, persino scontata – se alcuni colpi ad effetto non riaprissero i giochi. Primo fra tutti, un dipinto di Tintoretto dalla collezione di Pietro Scarpa, ritrovato nel 1991 e scelto per la mostra. S’intitola L’origine d’Amore (1562) e fu commissionato all’artista da Federico Contarini, procuratore di San Marco, uno dei fondatori della potente Compagnia della Calza degli Accesi: nel braciere retto da Apollo – mentre le masse di Irina Nakhova s’incamminano verso un futuro che non conoscono e il Cristo visto da Dmitry Krymov scopre il telefono cellulare – la luce del Sole accende d’amore l’animo umano. Quasi la sorgente dorata (morale più che dogmatica) dell’eterna torsione delle immagini in Gary Hill. Di più: l’intera scena è percorsa dal segreto (immagini celate, indizi invisibili alla superficie delle cose) che il collettivo !Mediengruppe Bitnik – Carmen Weisskopf e Domagoj Smoljo, artisti multimediali che esplorano il tema dello spazio virtuale – hanno disseminato nel percorso percettivo dell’esposizione. Al pubblico il compito – arduo, impegnativo – di ricomporre il puzzle e continuare a viaggiare nel tempo, magari in un nuovo inizio.