CRITICA LIBRI

Il lato oscuro di sé

Il nuovo romanzo dello scrittore Sasha Naspini è di quelli che lasciano il segno. "Ossigeno" è un noir introspettivo, che si legge tutto di un fiato, che porta a interrogarsi sulle prigioni, reali e immaginarie, dell’animo umano, dove gli schemi si sovvertono all’improvviso e niente è come sembra

Non era facile uscire dopo Le case – così viene spesso chiamato il romanzo che lo ha consacrato al successo – eppure Sacha Naspini osa e non delude. Lo fa con Ossigeno (edizioni E/O, 2019), un noir introspettivo, che si legge tutto di un fiato e lascia il segno. Porta a interrogarsi sulle prigioni, reali e immaginarie, dell’animo umano, dove gli schemi si sovvertono all’improvviso e niente è come sembra.

Un romanzo che ha in comune con Le case del malcontento il desiderio di esplorare le aberrazioni dell’uomo, quei lati oscuri che, forse, ognuno si porta dentro. Che tiene il lettore appeso a un filo, con una prosa che scorre via veloce, precisa, ritmata eppure sa creare ragnatele di angoscia e picchi di speranza. Elemento caro a Naspini, che torna anche in Ossigeno è il colpo di scena che si presenta, spesso, con i suoni e rumori tipici dei colpi. Il tuono di un temporale che lascia al buio, il clangore di una porta che si chiude e imprigiona, la voce meccanica di una bambola parlante che sembra essere là per rappresentare la voce della coscienza.

Intessuta nella trama, dove ogni tassello piano piano trova la sua collocazione, anche una riflessione su quanto ognuno di noi può essere condizionato dalla genetica e dall’ambiente sociale. E quanto questi elementi contribuiscano a creare potenzialità da un lato, prigioni dall’altro. «Il punto non è che mio padre è mio padre. Il punto è che sono suo figlio», dice il protagonista del romanzo. Luca Balestri, infatti, è il figlio del “mostro del golfo”, uno studioso di fama che a, un certo punto, si scopre essere anche un perverso rapitore, che usa le sue vittime per dare vita, forse, a esperimenti sociali. Ed essere il figlio del mostro rappresenta, in prima battuta, un elemento di stigma per lui, prima e forse ultima, vittima della mania del padre. «Invitarmi a una cena di Natale muove energie particolari, che rovinano la festa a tutti», dice Luca. Che allora si richiude in un mondo tutto suo e a volte si chiede se la sua prigionia, scelta perché necessaria, per non essere additato, non sia frutto di un esperimento che il padre ha deciso di compiere su di lui.

Eppure in questo scenario di depravazione, debolezze e limiti umani Naspini riesce a non scadere nel luogo comune e nella pruderie. La violenza a cui si assiste in questo romanzo non è mai a sfondo sessuale, ma non per questo è meno forte e spiazzante. Anzi. La prigionia psicologica a cui i personaggi sono sottoposti è tanto più dura perché pervade ogni aspetto della loro vita, dando il via a dipendenze di vario genere: c’è l’alcol e la mania di controllo. C’è lo studio, che diventa una lama a doppio taglio: una prigione e uno strumento per emanciparsi, creando di nuovo alterazione e sgomento.

C’è anche, in questo romanzo, il fallimento di ogni tipo di tentativo di protezione. A ciascuno dei personaggi la realtà, per quanto brutta e terribile, viene sbattuta in faccia con violenza e porta anche il lettore a chiedersi quanto di quello che ogni giorno pensiamo di fare per conservare uno stato di benessere per sé o per gli altri sia poi davvero efficace.

Insomma, Naspini torna a scrivere con immutata potenza e di nuovo porta in superficie – in cerca di ossigeno, forse – dei mostri. Che per quanto esasperati, come richiede ogni opera di finzione che si rispetti, lasciano, striscianti, il dubbio che siano molto più vicini a ognuno di noi di quanto non si possa pensare. E dopo aver ricostruito, dando voce ai diversi personaggi che creano il coro narrante, la vicenda principale, lascia il lettore ancora una volta con un mistero da interpretare. A ognuno la facoltà di immaginare la fine della storia. Per ricordare sempre che anche dai peggiori baratri si può risalire in cerca di Ossigeno.