CRITICA MUSICA

La rivoluzione di Lana del Rey

"Norman Fucking Rockwell!" è il sesto album di Lana Del Rey, considerando anche quello uscito nel 2010 come Lizzy Grant, il suo vero nome. È l’album in cui apre gli occhi e brucia il mito americano

Cantante o modella? Pupa a la Bettie Page o poetessa incompresa? Indie rock o lounge music? Il suo nome d’arte sarebbe una combinazione tra l’attrice Lana Turner e l’automobile Ford Del Rey, eppure lei ha smentito: d’altra parte è una bad girl di New York, laureata in metafisica.

Norman Fucking Rockwell! è il sesto album di Lana Del Rey, considerando anche quello uscito nel 2010 a nome Lizzy Grant, il suo vero nome. È l’album in cui apre gli occhi e brucia il mito americano: quello in cui tutti i suoi molteplici richiami al passato, alla West Coast, ai figli dei fiori, agli anni Sessanta e Settanta, virano in disincanto e nuova consapevolezza.

A cominciare dalla copertina, una foto scattata dalla sorella Chuck che la ritrae con Duke Nicholson (nipote di Jack) davanti alla costa losangelina in fiamme, in un puntiglioso remake dello stile di Norman Rockwell, per 50 anni del ventesimo secolo pittore e illustratore del sogno americano; come racconta The Greatest, la ballad che si scaglia contro i cambiamenti climatici e chi li ignora come Donald Trump e chi lo sostiene come il rapper Kanye West.

Le canzoni di Lana Del Rey sono messaggi in bottiglia abbandonati su una spiaggia deserta: arrivano da lontano, suonano subito come classici rock trasmessi alla radio, ma per quanto maledettamente suadenti non lasciano mai tranquilli. Come un altro dei singoli straordinari già estratti dall’album: Venice Bitch è la canzone più lunga che Lana abbia mai scritto, quella in cui più chiaramente la sua irresistibile dolcezza trasfigura in amarezza, così impercettibilmente che ti accorgi di piangere mentre stai ancora ondeggiando a passo di danza.

Psichedelia rock della più pura: ma con un’artista ormai da anni sotto i riflettori sembra lecito cercare le zone d’ombra, gli aiutini, le malizie dello show business. Quanto delle melodie tirate a lucido è suo e quanto del produttore Jack Antonoff, vincitore di 4 Grammy Awards, due dei quali per la produzione di 1989 di Taylor Swift e Masseduction di St. Vincent?

Mariners Apartment Complex, il primo singolo tratto dall’album, il primo frutto della collaborazione con Jack Antonoff, chiarisce: è una rock ballad acustica da antologia, in cui Lana cita continuamente la cultura pop degli anni Settanta come fosse la mitologia greca, e Jack si lascia trasportare da questa ragazza di New York che tiene il vento e punta il timone verso un porto sicuro, cantando «hanno scambiato la mia dolcezza per debolezza».

Ma in fondo che importa chi fa cosa, all’ascolto dei tappeti di mellotron di “progressiva” memoria nella sentimentale Cinnamon Girl, accostati con noncuranza all’andatura trip hop di Doin’ Time, cover del jingle jangle reggae dei Sublime? Norman Fucking Rockwell! è vestito di suoni delicati e minimali, atmosfere malinconiche e sognanti, è un album di rose e fiori che mostra le spine, alterna vette di leggerezza e di tensione accompagnate da una disarmante autocoscienza: Carole King e Joni Mitchell da una parte, Mazzy Star e Portishead dall’altra, non a caso grandi voci che si riverberano nel canto di Lana.

I pilastri del suo glamour eccentrico ed eccessivo restano intatti, ma queste nuove canzoni hanno poco a che fare con i romanzi e molto con la vita reale, sono meno centrate sul suo carattere indisciplinato e più attente alla relazione umana: poca estetica, tanta essenza. Lana Del Rey abbandona i facili entusiasmi ma non si perde d’animo: la conclusiva Hope Is A Dangerous Thing For A Woman Like Me To Have – But I Have It è un inno, una sfida, un atto di forza per «una ragazza moderna di debole costituzione», come ebbe a definirsi tempo fa.

E affronta la speranza guardandola negli occhi a dispetto del suo passato, perché le donne non sono prese sul serio ma sono attrici di una nuova rivoluzione, perché i mostri sono ancora sotto il letto ma si possono combattere, perché non si può sfuggire a se stessi ma si può cambiare.

Da qualche parte hanno detto che si sente che Lana Del Rey ci tiene a quello che fa: sembra la scoperta dell’acqua calda, nel mondo così glamour del pop di cui lei è certamente una icona. Aggiungiamo noi che tocca l’anima senza farle male, e con Norman Fucking Rockwell! il Grammy Awards non glielo toglie nessuno: è un complimento banale, ma rende l’idea.