ARTI CRITICA

Il numero che non esiste

Un’opera politica: sottile, venata da una profonda malinconia. "Suite veneziana" è magma incandescente, fucina di idee; è coscienza critica di un mondo che non si rassegna all’omologazione

L’opera di Pier Luigi Olivi Suite veneziana – con un intervento di Salvatore Settis, per il progetto “La BIBIennale di Venezia” – è a tal punto visionaria da apparire paradossalmente concreta. La denuncia, coniugata in modalità dadaiste, possiede una capacità di assemblaggio a dir poco acrobatica: il Leone di Carpaccio, sfregiato quasi fosse un muro con quel “Pax Tibi Dollar” che – più di uno slogan – è un urlo, un taglio, una ferita indelebile; poi le parole che vanno, sincopate e febbrili, sull’onda di un recitativo di marea che stringe la memoria ai fianchi, in un moto circolare e compulsivo.

I testi poetici di Olivi sono, invece, di un classicismo lapidario, senza speranza alcuna, contrapposti al lucido, cristallino ragionare di Settis su quel bene comune che presupporrebbe il diritto alla cittadinanza, la funzione sociale di quell’appartenenza, la forma stessa della città. Sono le due facce della stessa medaglia: da un lato l’esigenza di testimoniare, rabbiosa anche, disperata, ultimativa; dall’altro, la necessità di una riscrittura democratica del patto sociale, l’assunzione di responsabilità.

Pier Luigi Olivi agisce per differenza, quasi intervenisse algebricamente per unità immaginarie, su numeri negativi, per far scaturire una presenza. La sua sostanza intellettuale, ancora novecentesca, è legata all’esposizione diretta, all’azione in prima persona contro i simboli del potere (un volantinaggio polemico, la sua serie di BIBIennale; la commistione tra filigrana del consueto, la forma della città, e vecchie foto su cui lavorare).

Olivi parla, e rilascia parole come messaggi in bottiglia: messaggi infuocati, come se ne sentono pochi. Ci raccontano di una città vilipesa ed assediata, svenduta, mercificata, agonizzante. Eppure – agendo su qualcosa che dichiara non esserci, o non esserci più, come l’affetto, l’intenzione di restituire senso e materia al paesaggio urbano, a voglie e riti dello stare insieme – l’artista-poeta opera un intervento affermativo. Sta tutta nell’“i”, il numero complesso che restituisce autorità alle quantità negative e consente il calcolo delle radici quadrate, la forza del suo lavoro. Un’incognita come questa, infatti, è dimostrabile solo a partire dalla sua interpretazione geometrica: ciò che effettivamente c’è, ancora c’è; coloro che effettivamente ancora resistono, e vogliono restare. I campi al loro posto, in una notte autunnale; le calli, per qualche ora deserte e segrete. “I” è un numero immaginario, ma – un po’ come Venezia – prevede una progettualità di calcolo e una storia esecutiva.

Non poteva che scaturire così, questa Suite veneziana, dalla vicenda di un movimento libertario colmo di speranze e di aspettative, con la delusione di un “poi” che ha ridimensionato le attese. Si sa, però, quanto l’educazione al buono, soprattutto al giusto, conti e sia trasmissibile, persino al di là degli strumenti per dirlo. Pier Luigi ha deciso, ancora una volta, di non tacere, di agire per differenza. Lo ha fatto in Venezia Venezia con Luigi Gardenal, risuonanti le parole del grande Mario Stefani; lo fa con le sue opere poetico-visuali in BIBIennale. Lo fa mettendoci la faccia, il cuore, la pancia, e si fa ascoltare. Con sincerità e veemenza, la sua lotta è la lotta di tanti. Forse, se – a tratti – la sua parola sembra disfattista, è per farsi stupire dalla complicità di quanti (semplici lettori, grandi intellettuali come Settis) accettano di condividere con lui un tratto di strada.

Suite veneziana è un’opera politica: sottile, venata da una profonda malinconia. È magma incandescente, fucina di idee; è coscienza critica di un mondo che non si rassegna all’omologazione. Perché la bellezza – concreta, fattiva – di una città resiliente nei secoli è la miglior premessa per una riflessione (altrettanto concreta, fruttuosa) sul suo futuro, sulla sua essenza sensibile: democratica, consapevole, così come forse non è stata mai.

L’articolo è pubblicato anche sulla rivista Ytali.