CRITICA MUSICA

La musica dell’anno

Una carrellata della migliore musica del 2019 (e non solo) da portare nel 2020, tra grandi classici rimasterizzati e nuovi "masterpiece". Solo per palati fini

Dai, via, certo, ormai si può ben dire che il 2019 è stato l’anno di Lana Del Rey: in questi giorni (ah, ah, ah) di classifiche compulsive l’album Norman Fucking Rockwell! è tra quelli più in vista per tutte le testate di qua e di là dall’Atlantico, che siano di settore, di moda, di politica o di attualità. Ma noi siamo liberali e non vogliamo servire le tavole dei dieci comandamenti: preferiamo darvi degli spunti – obliqui beninteso – per ascoltare musica intrigante al di là del voto in pagella, in accordo con sensibilità e gusti musicali diversi.

Se avete voglia di bei ricordi del passato – suadenti quanto pericolosi per via della fatidica frase “si stava meglio quando si stava peggio” (eh, eh, eh) – le ristampe di qualità abbondano, con sapienti lavori di rimasterizzazione e/o di aggiunta di inediti più o meno appetitosi: cosa che costa poco alle major che detengono il catalogo storico della nostra esistenza in musica, e rendono tanto per lo stesso motivo.

A caso, con il semplice intento di solleticare palati diversi, citiamo l’uscita del box di 5 cd di Prince & The Revolution che ruota attorno a 1999, e contiene oltre all’album propriamente detto canzoni inedite, demo e B-sides che sorprendono per intensità e bellezza e accendono il piacere della scoperta. Pubblicato nel 1982, appena prima del successo planetario raggiunto con il successivo Purple Rain, stupisce per il suo carattere avventuroso e premonitore: l’ultimo cd, che contiene la registrazione di un concerto a Detroit di quell’anno, ci restituisce intatta l’energia di un album e di una band che hanno segnato un’epoca.

Saltando di palo in frasca è di valore eccezionale la pubblicazione di Blue World di John Coltrane, 37 minuti di cui si favoleggia dal 1964, quando il regista franco-canadese Gilles Groulx affida al sassofonista la colonna sonora del suo primo film in bianco e nero, per poi usarne pochi estratti solo nel finale. Pur essendo 5 brani già pubblicati in precedenza, queste nuove registrazioni rivisitano e aggiornano in maniera significativa alcune delle più belle melodie del secolo scorso, cogliendo il quartetto originale – con McCoy Tyner al pianoforte, Jimmy Garrison al contrabbasso ed Elvin Jones alla batteria – all’apice della sua coesione e creatività.

Ugualmente appassionante – soprattutto per gli amanti di Bob Dylan – è il cofanetto di 14 cd di Rolling Thunder Revue: The 1975 Live Recordings, che accompagna il documentario di Martin Scorsese uscito quest’anno. Una tournee in due tempi in cui Bob Dylan si riprende la scena dopo un lungo periodo di assenza, un viaggio in tourbus per le strade d’America curato nei minimi particolari, se ancora oggi splendono i 5 concerti completi (x 10 cd) registrati professionalmente (finora pubblicato un solo album nel 2002, The Bootleg Series Vol. 5: Bob Dylan Live 1975, The Rolling Thunder Revue); accanto a 3 cd di prove in studio mai ascoltate prima, e un cd di rarità e stranezze che restituiscono il clima da circo, quasi burlesque, di quei 47 concerti che talvolta duravano anche 4 ore.

Per finire, 2 ristampe per la prima volta su vinile a testimonianza del rinnovato fascino del disco a 33 giri: Amplified Heart (1994) degli Everything But The Girl, accuratamente rimasterizzato half speed da uno specialista del genere (Miles Showell, già alle prese con album di Rolling Stones, Beatles e Police, giusto per dire), assurto a gloria e successo planetario per il remix di Missing ad opera di Todd Terry, qui rigorosamente non presente. E all’altro capo del firmamento sonoro esce The Complete Birth Of Cool di Miles Davis, un repackaging del repackaging del doppio cd nel 1998 che per la prima volta conteneva le registrazioni live al Royal Roost: a 70 anni dalle originarie registrazioni – parzialmente – pubblicate allora su una serie di 78 giri, l’atipico nonetto incarna ancora la disarmante quanto efficace definizione di “qualcosa di nuovo” con cui la Miles Davis Organisation è annunciata all’inizio della terza facciata.

Ma la musica, a dispetto dei malpensanti, della nostalgia e dei poteri forti (ih, ih, ih), va avanti e ogni anno aggiunge granelli di emozione al cumulo del passato, come i coralli: già gli album di cui abbiamo parlato in queste pagine valgono la pena di essere riascoltati e rivalutati per gli anni a venire, ma sotto l’albero di Natale e nel sacco della Befana vogliamo aggiungerne altri.

Per esempio, due magistrali esempi di quello che negli anni Novanta si sarebbe chiamato post-rock, ovvero rock rallentato, psichedelico, quasi acustico, un po’ ipnotico, sbilenco e cantilenante: i Lambchop di Kurt Wagner (voce unica) non stupiscono più dopo quasi trent’anni di carriera, o forse stupiscono proprio per questo, e This (Is What I Wanted To Tell You) è subito un altro dei loro dischi più belli. Più giovane ma non ingenuo è Cass McCombs, che con il suo decimo lavoro Tip Of The Sphere vira verso atmosfere appena più acide e westcoastiane: entrambi album dimenticati nelle classifiche di fine anno, forse perché sono usciti a inizio 2019 e la memoria tampone non regge così a lungo, peccato.

Che ne dite poi di alcuni album non privi di difetti, ma diversamente peculiari per la loro originalità? Thom Yorke è ormai prigioniero del suo ruolo di icona messianica dello show biz, eppure riesce a ignorare bellamente quanti ascoltano la sua musica solo perché è fashion, e anche in Anima sciorina canzoni visionarie uguali alle sue altre, ma comunque belle.

Moodymann, detroitiano dj e produttore di lungo corso dalla personalità elusiva, torna con Sinner dopo 5 anni passati in giro a selezionare/suonare musica nera da Prince a Drake, infiltrando il suo mix tra soul roots e house music fin quasi in cima alle playlist più “commerciali”.

Non meno zigzagante To Believe della Cinematic Orchestra, opera orchestrale e debordante, affascinante e dolciastra, talvolta jazz talaltra musical, sempre incoronata da performance vocali di grandi ospiti: con solo 4 dischi ufficiali (+ colonne sonore, ripensamenti, remixes e live recordings) in oltre vent’anni di carriera iniziata ai tempi dell’acid jazz, l’inglese Jason Swinscoe segue le tracce delle sue intuizioni anche se c’è chi si ostina a rimproverarlo concedendo sempre solo un 7- di stima.

Esordio solista “perfetto” invece per Brittany Howard, che abbandona momentaneamente i suoi Alabama Shakes per intraprendere con Jaime una avventura ancora più rischiosa, sperimentale, emozionante e perfino brutalmente autobiografica nei territori del blues, del funk e della psichedelia: forse l’alter ego del sound bianco di Lana Del Rey?

Album di deliziosa eleganza è il settimo dell’americano figlio di ecuadoriani Roberto Carlos Lange, meglio conosciuto come Helado Negro: This Is How You Smile è un capolavoro di sinth-folk cosmico, che amalgama suoni elettroacustici con la sua voce suadente, esplicitando le radici latine accanto alla palese passione per la sperimentazione audio/visuale, maturata attraverso importanti collaborazioni istituzionali e che gli è valsa riconoscimenti prestigiosi. Lo stato dell’arte del pop, a nostro avviso.

Raccomandazioni per un 2020 avventuroso: mentre ascoltate l’ultimo album, aspettate il nuovo