ATTUALITÀ STORIE

La curiosa storia dei ventagli

Il Ventaglio, opera di Anna Botteon, allieva dell’Accademia Albertina di Torino, per la cerimonia del 2011

Ormai è fatta. Il vero segnale delle vacanze estive delle Camere non è la sospensione dei lavori ma la consegna, da parte dei giornalisti parlamentari dei tradizionali ventagli ai presidenti della Repubblica, della Camera e del Senato. Delle cerimonie si legge sui giornali, avete visto e vedrete in tv. Il primo (al presidente della Camera), infatti è stato  consegnato il 19 luglio, mentre l’ultimo (a Mattarella) verrà consegnato il 29.

Ma probabilmente qualcuno si chiederà come, quando e perché è nata la tradizione della consegna del ventaglio. Ed io son qui a raccontare una storia curiosa che s’intreccia con la vicenda stessa del Parlamento unitario, e in particolare della Camera dove appunto la tradizione è nata salvo poi ad essere imitata, molti anni dopo, dal Senato (in nome del mai troppo biasimato bicameralismo perfetto) ed essere infine estesa dal 1992 anche al capo dello Stato, per una ulteriore, curiosa circostanza.

Ecco la storia. Quando dunque, liberata Roma dal dominio papale, la Camera si trasferì da Firenze nella nuova e definitiva Capitale, si pose il problema della scelta della sede di lavoro dei deputati. Fu laboriosa scelta e alla fine si decise per quel Palazzo Montecitorio che a lungo aveva ospitato la Curia Innocenziana, cioè la sede laica del potere papale. Ma la struttura originale dell’edificio (un capolavoro del Bernini, morto però troppo presto per vedere la sua idea pienamente realizzata secondo la sua ingegnosa visione) non era funzionale ad ospitare un parlamento: finiva in un cortile, ampio e splendido certo, ma del tutto inutile per le “adunanze” della Camera. Idea: perché non incaricare allora un tecnico che andava per la maggiore (l’ingegner Comotto, ovviamente torinese come tutti gli artefici dello sviluppo urbanistico della Roma savoiarda) di progettare e realizzare in fretta, proprio in quel cortile, un’aula provvisoria in ferro e legno? Con un contorno di bustarelle per appalti e subappalti – la storia in questi casi ama ripetere se stessa, o meglio: come diceva Borges «sono gli epigoni a creare i precursori» – nacque dunque l’aula Comotto.
Immaginatevi il freddo polare d’inverno e il caldo soffocante d’estate. Il freddo fu fronteggiato con una secca e comprensiva disposizione della presidenza: «I Signori Deputati sono autorizzati a sedere in Aula muniti di guanti, cappotto e lobbia». Per l’estate invece…ecco una notiziola apparsa sulla “Nazione” di Firenze l’8 luglio 1883: «Il Presidente della Camera (Giuseppe Zanardelli, esponente della Sinistra e acerrimo nemico del trasformismo giolittiano, ndr), che in questi giorni di afa opprimente sopporta la fatica delle lunghe discussioni sulla legge bancaria (cioè sul nuovo ordinamento imposto dallo scandalo della Banca Romana, ndr), aveva, scherzando, detto a qualcuno dei giornalisti della tribuna stampa: “Voi altri avete almeno un ventaglio che io vedo costantemente agitare!”. Ieri si pensò quindi di offrire all’on. Zanardelli un modesto ventaglietto di carta sul quale avevano apposta la firma tutti i rappresentanti di giornali presenti in tribuna. L’on. Presidente gradì lo scherzo, e rispose con le seguenti parole: “Ai gentili giornalisti della Tribuna della Stampa. Ringrazio vivamente del ricordo di questi giorni, ultimi della mia presidenza, i collaboratori carissimi della stampa. Lo terrò tra le care memorie. Aff. Zanardelli“».
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. L’aula Comotto è stata demolita, ripristinata l’originale funzione decorativa del cortile berniniano e, alle spalle del cortile, il maestro del liberty Ernesto Basile raddoppiò in profondità il Palazzo realizzando nel primo Novecento il famoso Transatlantico, detto anche “il corridoio dei passi perduti”, e l’emiciclo che tuttora assolve perfettamente alle funzioni del lavoro d’aula. Quando ancora non esistevano i climatizzatori, ma almeno c’era l’energia elettrica, per fronteggiare il gran caldo si ricorreva ad un ingegnoso meccanismo: solerti operai collocavano colonne di ghiaccio sui lucernari della cupola e dall’alto come dal basso potenti ventilatori soffiavano su deputati, funzionari e giornalisti piacevoli correnti d’aria fresca. Poi è venuta l’aria condizionata.
Ma ancora e sempre, quando siamo agli sgoccioli dei lavori parlamentari (e stavolta dopo una furibonda e deprimente campagna elettorale), i giornalisti continuano a regalare – ma non durante la dittatura fascista che addirittura sciolse la loro associazione – il ventaglio non solo al presidente della Camera come al suo collega del Senato ma, da quasi trent’anni, anche al capo dello Stato.

Foto Archivio storico Camera dei Deputati

Ecco come andò: Oscar Luigi Scalfaro era stato eletto all’inizio dell’estate del 1992 presidente della Camera, succedendo a Nilde Iotti che aveva presieduto l’assemblea per tredici anni, un record. Altro e opposto record quello di Scalfaro: appena un mese dopo esser salito al più alto scranno di Montecitorio, egli fu eletto presidente della Repubblica nella situazione di emergenza democratica determinata dal massacro del giudice Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e di tre agenti di scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. E che, anche se presidente della Camera solo per un mese, non toccava anche a lui il ventaglio? E ventaglio fu. E siccome cosa fatta capo ha, dopo Scalfaro, anche Giorgio Napolitano ha arricchito di una messe-primato la sua collezione di ventagli: da presidente della Camera, poi da capo dello Stato, infine anche da unico capo dello Stato rieletto. Con Sergio Mattarella siamo già al quarto.
Un paio di annotazioni ancora. Sui ventagli non ci sono più le firme dei cronisti. Non solo perché essi non vanno più in tribuna servendosi piuttosto della comoda tv a circuito chiuso, ma anche perché i giornalisti “stanziali” sono ormai più di quattrocento e ci vorrebbe non un ventaglio ma un lenzuolo per raccoglierne le firme. Né si tratta più di “ventaglietti di carta”: prima erano preziosi esemplari del sette-ottocento; poi, quando gli antiquari hanno capito l’antifona facendosi esosi, l’Associazione stampa parlamentare si è rivolta alle Accademie e agli Istituti d’arte. Gli studenti propongono bozzetti, i giornalisti scelgono. E i ventagli, meno costosi ma ancor più simbolici, restano sempre tra le “care memorie” dei presidenti.