Le parole sono la rappresentazione linguistica della realtà, la sua trasposizione in suoni e codici, ed in quest’accezione, appunto, esse hanno la funzione di denominare sia gli oggetti – in maniera quindi anche piuttosto “sterile”, nel senso che ad un suono corrisponde semplicemente una determinata “cosa” e basta – sia interi concetti – nel senso che una sola parola può anche produrre, in termini di pensiero, una serie di significati complessi e suscettibili anche di definizioni lunghe, diverse nelle varie sfumature ed a seconda delle specifiche situazioni.
È proprio in quest’ultima accezione che, anche ad una parola, si può associare il concetto di fertile: dal latino fertile, derivazione, appunto, di ferre, produrre. Fertile quindi è tutto ciò che non rimane fine a sé stesso, ma è in grado di generare, evolversi, di trasformare o trasformarsi per ottenere qualcosa di nuovo. Nel linguaggio comune, il termine fertile è utilizzato principalmente come aggettivo per indicare una donna che sia biologicamente predisposta a procreare, cioè feconda, così come per indicare un uomo che non abbia nessuna limitazione ai fini del concepimento.
Comunemente si associa il termine fertile anche alla terra in grado di produrre regolarmente i suoi frutti: si parla di terreno fertile, infatti, quando sussistono una serie di condizioni favorevoli e necessarie ai fini di una determinata coltivazione. Ma fertile può essere, ad esempio, anche una mente particolarmente creativa, ed in questo caso si parla di «ingegno fertile». La fertilità, quindi, è in se una predisposizione, una capacità, una condizione favorevole. Non è detto che un elemento fertile produca necessariamente quello che può generare, ma le probabilità sono sicuramente molto buone.
Fertile quindi è un concetto positivo, ottimistico, rassicurante, qualcosa, si può dire, di molto simile alla felicità. Non a caso, infatti, i latini utilizzavano anche il termine felix (felice) come sinonimo di fertile, specialmente in riferimento alle terre particolarmente produttive. La produttività, infatti, genera automaticamente soddisfazione, appagamento, benessere, al contrario dell’improduttività, quindi della sterilità. Dalla fertilità, dunque, nasce ogni cosa, la vita innanzitutto, e dalla vita tutto ciò che si sviluppa.
Ogni cosa può essere fertile, purché produca qualcosa di buono. In questo senso, fertili possono essere anche le idee, i pensieri, i discorsi, gli incontri, se sono propositivi e se da essi scaturisce un esito in qualche modo positivo, una continuità produttiva. Al contrario, invece, ogni cosa può essere definita in gergo sterile, quando alla fine si rivela un inutile dispendio di tempo o di energie.
Un chiaro riferimento alla fertilità, intesa proprio come capacità umana di trasformare in positivo ciò che si riceve, la si trova nel Vangelo nella parabola del seminatore, nella quale Gesù paragona la sua parola ad un seme che germoglia e che produce frutti solo dove la terra è buona: nella fattispecie la terra è l’uomo. Nella visione laica della metafora è condivisibile il fatto che parole, concetti, informazioni, nozioni, sensazioni, intuizioni che si percepiscono, diventano produttive solo là dove l’uomo è in grado di elaborarle e trarne vantaggio, altrimenti lasciano il tempo che trovano, proprio come le parole al vento.
La fertilità, quindi, intesa come la capacità generatrice di qualcosa di concreto, di astratto o addirittura come capacità di riproduzione, può essere considerata un concetto “materno”. in senso lato ed universale. Ognuno di noi è “madre” di ciò che crea, ognuno di noi può essere a modo suo fertile e riuscire quindi a dare alla sua vita il senso più importante di tutti: quello della continuità di sé stesso per mezzo di ciò che ha creato o generato, attraverso anche la comprensione del mondo e di tutto ciò che lo circonda, e questo prima che il suo corpo diventi sterile in maniera, tristemente, definitiva.