LA PAROLA

Porta

Un varco porta sempre da qualche altra parte. Porta, appunto: voce del verbo portare, ma anche apertura creata in una parete per ottenere un attraversamento e, per estensione, accesso a qualche cosa. Porta, dal latino porta, significa infatti “passaggio”. Per la verità, la porta latina designava l’ingresso della città o di una fortezza, mentre per indicare il portone di una casa privata i romani usavano ianua e per una porta interna ostium.

In italiano sono tutte porte: quella di una città (Porta Pia a Roma, Porta Venezia a Milano, Porta Ravegnana a Bologna) come quella di un campo da calcio, da rugby, da hockey e da altri sport (tirare in porta), ma anche quella dell’armadio, del forno, del treno, dell’ascensore, ecc. Chi sta a dieta evita di aprire quella del frigorifero. Chi vuol fare una scampagnata va a fare una passeggiata fuori porta. Una porta Usb permette la trasmissione di dati ad alta velocità da un computer a una periferica digitale.

Knockin’ On Heaven’s Door, bussando alle porte del Paradiso, canta il premio Nobel Bob Dylan. Si tratta di porte in senso figurato, come quella dell’Inferno a cui probabilmente non occorre nemmeno bussare perché è sempre spalancata. La porta santa, invece, è vera: è una porta murata che si trova nelle basiliche patriarcali di Roma e che viene aperta negli anni del Giubileo della Chiesa cattolica. «Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate», è la scritta terribile che si legge sulla porta dell’Inferno dantesco. Nel Vangelo secondo Matteo Gesù dà una raccomandazione precisa: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!». Ma Cristo dice anche, secondo Giovanni: «Io sono la porta: chi entrerà attraverso me sarà salvo…».

Nella realtà, come nella metafora, ci sono porte blindate che sono difficili da forzare e porte girevoli attraverso le quali si può entrare e uscire a piacimento. Si possono sprangare o spalancare le porte, si può bussare educatamente o buttare giù una porta. Si può avere alle porte il nemico o la guerra ma anche la vittoria o la primavera. Un processo può essere a porte aperte o chiuse. Chi se ne va prende la porta, mentre chi è sgradito e non se ne vuole andare viene messo alla porta. A chi si vuole opporre un fermo e sgarbato rifiuto si chiude la porta in faccia. Quando si sfonda una porta aperta si è cercato di dimostrare qualcosa di ovvio e su cui tutti concordano. C’è chi trova tutte le porte aperte e chi tutte chiuse. Però non è necessario bussare a cento porte per ottenere qualcosa, basta bussare a quella giusta. Così come per aprire una porta occorre avere la sua chiave. Quando le cose vanno male, però, ci si può consolare pensando che spesso quando si chiude una porta si apre un portone. E tenere le preoccupazioni fuori dalla porta.

Non aprite quella porta, raccomanda il titolo di un famoso film horror di Tobe Hooper. La nona porta è un film di Roman Polanski che gira attorno a un libro esoterico. Porte aperte è uno dei romanzi più importanti di Leonardo Sciascia (portato al cinema da Gianni Amelio), che prende il titolo da un modo di dire popolare: durante il fascismo si poteva dormire con le porte aperte (c’era però qualche altro problema, ndr). The Doors è stato il mitico gruppo rock fondato da Jim Morrison. La porta è un topos della letteratura fantasy: permette l’accesso a mondi altri, il passaggio immediato in luoghi distanti nello spazio o nel tempo.

In definitiva una porta prevede sempre un aldilà, dove andare a vedere oppure no.

Tags