DIRITTI & DOVERI VISIONI

Scegliere il “fine vita”: cosa dice la legge

È un tema assai delicato quello del “fine vita”, da tutti i punti di vista. Ma ragionarci intorno è inevitabile e altrettanto doveroso-. Lo dimostra la sempre maggior frequenza con cui i media si occupano di casi “personalissimi” – come, per esempio, quello del piccolo Alfie – in cui è gioco forza fare i conti con il mesto campo del congedo dal mondo.

Il dibattito pubblico sul “fine vita”, in Italia, è aperto da molti anni, ma prima dell’entrata in vigore della Legge 219/2017, Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate, il 31 gennaio 2018 (pubblicata sulla “Gazzetta ufficiale” numero 12 del 16 gennaio 2018), non era tutelato in alcun modo il diritto dell’individuo ad autodeterminarsi circa la propria esistenza.

I due pilastri su cui si basano le nuove disposizioni di legge sono il consenso informato e le Disposizioni anticipate di trattamento le cosiddette DAT, regolamentate dall’articolo 4 della legge 219/2017. A loro volta, tanto si parli del diritto ad acconsentire o meno ai trattamenti terapeutici proposti dai medici, quanto di mettere nero su bianco le proprie volontà sul fine vita, nel caso in cui la persona stessa non sia più in grado di intendere e di volere, entrambi fanno perno sul principio di autodeterminazione. Ovvero la volontà del malato, una volta informato, di sottoporsi al trattamento sanitario proposto dai medici.

Ma per comprendere a fondo la portata della legge 219/2017 è necessario risalire anche a tre altri concetti chiave: eutanasia, accanimento terapeutico e testamento biologico. L’eutanasia, che differisce dal suicidio perché è intrinsecamente necessario l’intervento di una persona diversa da quella che si sottopone a tale pratica, si definisce attiva quando un terzo toglie la vita al soggetto consenziente, passiva quando il paziente esprime il proprio rifiuto alle cure salva-vita.

Riguardo all’accanimento terapeutico, è doveroso premettere che la sospensione dei trattamenti sanitari (che si configurino come trattamento terapeutico) è sempre lecita, come si deduce anche dall’articolo 16 del Codice deontologico medico: «il medico – si legge – anche tenendo conto delle volontà del paziente laddove espresse, deve astenersi dall’ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita».

Il testamento biologico (o le DAT nella forma prevista dal legislatore), infine, è il diritto di esprimere il proprio consenso o rifiuto a sottoporsi a determinate cure mediche. La legge utilizza il termine “disposizione” e non “dichiarazione”, in quanto il medico non è vincolato espressamente alle DAT redatte dal paziente. Dal momento che, tra le disposizioni e l’eventuale insorgenza della malattia, può trascorrere anche molto tempo, il medico deve comunque attivarsi qualora la ricerca abbia prodotto nuovi trattamenti idonei a salvaguardare la salute del paziente, senza che ciò conduca all’accanimento terapeutico.

Il comma 4 dell’art 4 della legge in esame, in relazione alla figura del fiduciario, prevede che: «nel caso in cui le DAT non contengano l’indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia divenuto incapace, le DAT mantengono efficacia in merito alle volontà del disponente. In caso di necessità, il giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di sostegno».

Il medico è tenuto al rispetto delle DAT, che possono essere disattese in tutto o in parte dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente, ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita. Nel caso di conflitto tra il fiduciario e il medico, è possibile ricorrere al Giudice Tutelare affinché, sentite le parti, componga la controversia nel miglior interesse del malato.

Entrando nel merito, ecco quali sono i diritti e i doveri previsti dalla legge.

Diritti
L’articolo 1 della legge 219/2017 definisce cosa si intende e come si raccoglie il consenso informato del paziente, stabilendo che «[…] nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge». E al comma 4: «il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. Il consenso informato, in qualunque forma espresso, è inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico».

Vi è dunque un vero e proprio diritto, per il paziente, ad ottenere un’informazione completa e precisa sulle proprie condizioni di salute e sulle relative scelte mediche. Diritto che, peraltro, trova fondamento nell’articolo 13 della Costituzione, che recita «la libertà personale è inviolabile», da cui si ricava il principio di autodeterminazione che è fondamento del consenso informato.

Allo stesso tempo la sentenza 16047/2012 della Corte di Cassazione aveva già affermato il diritto del paziente a che la terapia, oltre ad essere pienamente illustrata dal medico, debba anche essere liberamente accettata dal paziente stesso, affinché possa essere legittimamente somministrata.

L’articolo 6 della legge 219/2017 prevede, come norma transitoria, che le DAT si applicano, con conseguente validità di tali dichiarazioni, anche «ai documenti, idonei ad esprimere le volontà del disponente in merito ai trattamenti sanitari, depositati presso il Comune di residenza o presso un notaio prima della data di entrata in vigore della presente legge».

Il legislatore ha apportato significativi cambiamenti anche in tema di diritti dei minori e degli incapaci, nel caso in cui si trovino ad affrontare una particolare condizione di malattia: «la persona minore di età o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti di cui all’articolo 1, comma 1. Deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà».

L’obiettivo della legge, quindi, è quello di valorizzare la libertà di scelta del minore e dell’incapace, prescindendo in parte dall’età anagrafica, ma attribuendo un peso specifico maggiore alla capacità di discernimento. Dunque alla effettiva “maturità” della persona, che ha diritto ad essere informata e a esprimere la propria opinione sulle scelte mediche che la riguardano (in base anche a quanto ratificato dalla Convenzione sui diritti del fanciullo di New York).

L’articolo 4 della legge si occupa di quello che viene comunemente definito biotestamento (ovvero le DAT), sancendo il preciso diritto di ogni persona, maggiorenne e capace di intendere e di volere, di redarre le proprie Disposizioni anticipate di trattamento in previsione di futura incapacità e dopo aver acquisito le informazioni necessarie a comprendere le conseguenze delle proprie scelte. Le DAT costituiscono un documento in cui il soggetto può esprimere il proprio assenso o rifiuto a determinati accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche o singoli trattamenti sanitari, esprimendo contestualmente anche le proprie volontà su futuri, eventuali trattamenti sanitari.

Il deposito del testamento biologico può avvenire presso il Comune di residenza del disponente. Il Comune è tenuto a conservare la documentazione rilasciata dal soggetto e, per espressa disposizione di legge, tale attività non può essere oggetto di imposte e tributi, ma è gratuita per il cittadino. L’articolo, in materia di pianificazione delle cure e relazioni medico-paziente, dispone che «[…] rispetto all’evolversi delle conseguenze di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, può essere realizzata una pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico, alla quale il medico e l’equipe sanitaria sono tenuti ad attenersi, qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità».

In ultima analisi, ove siano rispettati i campi di competenza tecnico-scentifica del medico e contemporaneamente la libertà di autodeterminazione del paziente, i due soggetti devono cooperare al fine di raccogliere nel miglior modo possibile le esigenze di cura del malato.

Doveri
La legge stabilisce anche precisi doveri a carico del medico che si trovi ad assistere un paziente in particolari condizioni.

L’articolo 2 dispone che il medico debba adoperarsi per trattare i sintomi dolorosi legati alla patologia, anche se il paziente abbia rifiutato le cure già previste dal sanitario stesso. Al comma 2 afferma, inoltre, l’obbligo del medico a non ostinarsi in cure inutili o sproporzionate, nel caso in cui la prognosi sia infausta in breve termine o il paziente si trovi già in imminenza di morte. Nel caso di prognosi infausta o refrattarietà della malattia alle comuni cure contro il dolore, il medico può ricorre alla sedazione palliativa profonda, ma è tenuto ad annotare, sulla cartella clinica del paziente, le ragioni che lo hanno indotto a proporre tale trattamento (che può essere eseguito solo con il consenso del paziente).

L’articolo 4 afferma che chi redige le proprie disposizioni deve nominare una persona di propria fiducia (nelle stesse DAT o con un atto ad esse allegato), che sarà incaricata di dialogare con i medici quando il paziente non sia più in grado di farlo. Affinché la nomina sia valida, il fiduciario, esattamente come chi rilascia le DAT, deve essere maggiorenne e capace di intendere e volere. Può, tuttavia, rinunciare all’incarico in qualunque momento, con un atto scritto, comunicandolo alla persona stessa che lo ha incaricato. La figura del fiduciario è equiparabile a quella di mero latore, dato che deve attenersi scrupolosamente a quanto disposto nelle DAT senza il minimo margine di discrezionalità. In altri termini dà voce a chi ormai non ce l’ha più.

Questo può essere fonte di problemi nel caso in cui la sottoscrizione delle DAT avvenga in tempi molto lontani rispetto al momento del loro “utilizzo”. In questo caso, forse sarebbe stato più consono permettere al fiduciario di richiedere al medico sia le informazioni sul reale stato di salute del disponente, che quelle sugli ultimi ritrovati in tema di trattamento sanitario, anche al fine di vigilare sulla somministrazione delle cure palliative. È, infatti, evidente che la condizione di chi si trova in uno stato di infermità e, in base al proprio vissuto e alla conoscenza dello stato di salute, chieda di sospendere un trattamento è ben diversa dal redarre un documento in cui si cerca di ricostruire una situazione mai vissuta prima e della quale non si possono conoscere in nessun caso gli sviluppi. Nel caso in cui non venga nominato il fiduciario, le DAT restano valide, ma nel caso di incapacità del disponente sarà necessario provvedere alla nomina di un amministratore di sostegno (ai sensi del capo I del titolo XII del libro I del Codice Civile).

Affinché le DAT siano valide, occorre che vengano rispettate alcune condizioni. Devono pertanto essere redatte:
1. per atto pubblico o per scrittura privata autenticata;
2. per scrittura privata, consegnata personalmente dal disponente all’ufficio dello Stato civile del Comune di residenza (dove si provvede all’annotazione in apposito registro, qualora istituito);
3. per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente alle strutture sanitarie (ma solo nelle regioni che adottano modalità telematiche di gestione della cartella clinica o il fascicolo sanitario elettronico (vedi nota 14) o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio Sanitario Nazionale);
4. attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare (nei casi in cui le condizioni fisiche del paziente non consentano l’utilizzo di una delle forme elencate).

Ulteriori informazioni sulla pagina dell’Associazione Luca Coscioni.
La legge non indica un modello di DAT da utilizzare ma fornisce indicazioni per la corretta redazione ex art. 4 L.219 del 2017. Qui il link per ottenere un modello di DAT, attraverso l’Associazione Luca Coscioni.