Ci sono immagini dal satellite, sul lato al buio della terra, che lasciano senza fiato tanto sono suggestive. Miliardi di puntini luminosi che diventano macchie di luce in corrispondenza delle grandi metropoli e delle zone del pianeta più densamente popolate. Oppure aree scure in cui la terra è tutt’uno con il mare, nei deserti, sui grandi laghi, sulle catene montuose, nelle immense pianure dell’Asia, nelle steppe e nelle foreste, ma anche nelle zone più povere del mondo dove l’illuminazione artificiale è poco più che un optional per pochi fortunati.
Nei Paesi avanzati il buio sembra quasi innaturale e deve essere scacciato con la luce. Questione di sicurezza, perché nasconde insidie e pericoli, a volte per pura estetica. Tutto questo, tuttavia, ha un peso “ecologico”, fa male, danneggia. E infatti si parla di inquinamento luminoso, che insieme a quello acustico, elettromagnetico, dell’aria, dell’acqua e del suolo, fa la sua parte per “mettere in crisi” il pianeta.
L’eccesso di luce artificiale ha un impatto devastante sulle specie notturne, “confuse” dall’alterazione del naturale alternarsi tra il giorno e la notte. Così come sull’uomo, la mancanza di buio influisce sulla produzione di melatonina e quindi sul ritmo sonno-veglia. Gli accorgimenti, quando ci sono, non riguardano la diminuzione delle luci che vanno verso l’alto, ma l’uso di lampade a basso consumo o un loro diverso orientamento, che non significa automaticamente diminuire l’inquinamento luminoso, ma solo sprecare meno energia. In anni più recenti, il fenomeno si è complicato con un uso crescente di sorgenti luminose a luce blu, quella che più arreca danni alla salute e agli ecosistemi. Ad oggi, se chi si occupa di questo problema ha misurato la quantità di luce artificiale emessa, ancora nessuno aveva pensato di farlo con il buio.
Almeno fino al 2008, quando l’idea è germogliata nella testa di Andrea Giacomelli, 51 anni, maremmano di origine, vulcanico ingegnere ambientale e dottore di ricerca giramondo, che da 1997 si occupa di progetti in campo ambientale a livello internazionale. E che negli ultimi undici anni ha messo insieme una rete di collaboratori per la tutela e la valorizzazione del cielo notturno, con un progetto che si chiama “BuioMetria partecipativa”. «Oltre dieci anni fa, insieme a Francesco Giubbilini, un ingegnere ambientale astrofilo, abbiamo avviato il monitoraggio e la misurazione “partecipata”, fatta cioè da comuni cittadini, dell’inquinamento luminoso», spiega Giacomelli. «Le persone interessate a questo progetto vengono dotate di un piccolo strumento, lo “sky quality meter”, che puntato verso l’alto di notte, misura il buio: dal numero più basso se si è sotto un lampione, al più alto se non ci sono luci. Abbiamo pensato così di far conoscere il cielo notturno e la bellezza dell’oscurità naturale. Ecco allora che lo sky quality meter è diventato il buiometro e il progetto la “BuioMetria partecipativa”».
La base delle operazioni è in provincia di Grosseto, non solo perché è da qui che proviene la famiglia di Andrea Giacomelli, che passando spesso le vacanze nella casa dei parenti ha avuto modo di apprezzare la qualità della volta celeste, ma anche perché la bassa Toscana è una delle zone d’Italia con la miglior qualità del cielo notturno e il minor tasso di inquinamento luminoso. È qui che sono stati inizialmente reclutati i “buiometristi”, prima che il progetto decollasse e finisse sulla stampa e le tv nazionali.
«Dopo una partenza quasi per caso, con un ristretto gruppo di persone, senza un soldo di finanziamento, oggi siamo arrivati a partecipare a progetti di ricerca europei, proponendo il know-how del nostro lavoro, “dal basso” ma supportato da basi scientifiche. Dal 2015 la nostra BuioMetria ha ispirato progetti dell’Università di Pisa e del Cnr di Firenze, che hanno avviato un filone di ricerca sull’inquinamento luminoso e l’impatto su specie animali e piante, a cui collaboriamo. Insomma da Torniella al Cnr il passo è stato lungo», racconta Giacomelli.
E non induca in inganno che raccontato così, immaginare persone che vanno in giro a misurare il buio, possa sembrare “folklore”, perché il progetto ha anche una forte valenza scientifica. Include, infatti, il caricamento dei dati on line, la mappatura delle informazioni rilevate, la creazione di report. Prevede inoltre vari tipi di analisi spaziale, un piano di divulgazione e comunicazione che ha portato a realizzare numerosi eventi in Italia e all’estero, a rendere pubbliche le ricerche. Chi usa il Buiometro, inoltre, contribuisce alla costruzione di una mappa on line, trasmettendo dati che vengono usati per la ricerca, alimentando a sua volta attività di comunicazione, di organizzazione di eventi, in un’ottica di filiera che spazia dall’intervento di sostituzione di un singolo punto luce, alle reti internazionali di professionisti.