MEMORIE VISIONI

Carlo e Nello Rosselli, gli irriducibili

Carlo Rosselli, l'eretico del socialismo, era nato a Roma il 16 novembre 1899. Lui e il fratello Nello, entrambi trucidati dai fascisti francesi il 9 giugno 1937, sono stati tra i protagonisti dell’antifascismo italiano

Cade in questi giorni l’anniversario della nascita (il 16 novembre 1899, 120 anni fa) di Carlo Rosselli, assassinato per mano dei fascisti francesi per ordine di Galeazzo Ciano, il genero di Mussolini, poi giustiziato dai suoi stessi compari. Con Carlo – generoso combattente antifascista, animatore di “Giustizia e Libertà”, il movimento laico che ebbe un ruolo importante nella Resistenza – venne massacrato anche il fratello Nello, stessi ideali, stessa eroica vita di combattente. Per quanto strumentale possa apparire, l’anniversario è occasione per ripercorrere le tappe della breve vita – trentott’anni – di uno dei protagonisti non secondari della complessa storia dell’antifascismo italiano.

Intanto le origini familiari, il mondo in cui erano cresciuti i fratelli Rosselli, nati a distanza di un anno l’uno dall’altro. Per parte di padre discendono da una famiglia di ricchi mercanti ebrei di Livorno (la stessa patria dei Ciano…), e per parte della madre Amelia Pincherle (lo stesso nome porterà con orgoglio la figlia, poetessa straordinaria, morta suicida alla fine degli anni Novanta) da una famiglia di ebrei veneziani. Tutto quel che hanno sarà destinato alla causa del “Non mollare” la lotta ostinata alla dittatura. Loro cugino è Alberto Moravia (Pincherle, si sa, è il suo vero cognome) cui la mamma dei due fratelli dedicherà un irato ricordo del suo silenzio dopo il massacro dei figli «per opportunismo o, nell’ipotesi più benigna, per debolezza». Il prozio è nientemeno che Ernesto Nathan, il mazziniano di origine inglese che sarà il primo sindaco di Roma libera dal papa-re, alla testa di un blocco anticlericale e popolare: sua la decisione di fare erigere in Campo de’ Fiori il monumento al grande filosofo Giordano Bruno, messo al rogo dalla chiesa nel Seicento proprio in quella antica piazza. Tra i cugini anche il formidabile fisico Enrico Fermi. Tra gl’intimi Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi, Riccardo Bauer, Ferruccio Parri.

Ma torno e resto al merito delle tappe, incredibili e avvincenti, della vita di Carlo, “eretico del socialismo”. A ventisette anni organizzò l’espatrio di Filippo Turati e Sandro Pertini, mettendoli in salvo in Corsica, su un motoscafo partito dalla Liguria. Poi i due socialisti ripareranno in Francia. Rosselli verrà arrestato al ritorno, incarcerato per qualche mese e poi inviato al confino a Lipari in attesa del processo tenuto a Savona. Per difendersi, attacca il regime: «Il responsabile primo e unico – disse – che la coscienza degli uomini liberi incrimina è il fascismo (…) che con la legge del bastone, strumento della sua potenza e della sua nemesi, ha inchiodato in servitù milioni di cittadini, gettandoli nella tragica alternativa della supina acquiescenza o della fame o dell’esilio». Dieci mesi di prigione, ma per soprammercato altri tre anni a Lipari da dove evase con Emilio Lussu grazie a un motoscafo guidato dall’amico Italo Oxilia diretto in Tunisia da cui poi anche loro raggiungono la Francia.

Nel 1929 a Parigi con Lussu e un gruppo di fuoriusciti organizzati da Salvemini, è tra i fondatori del movimento “Giustizia e Libertà”. Poi la partecipazione attiva, personale, alla guerra di Spagna, contro il golpista Francisco Franco che aveva rovesciato il legittimo governo repubblicano del Fruente Popular. Rimarrà ferito sul fronte di Aragona mentre cercava di costituire un vero e proprio battaglione autonomo (dai comunisti, purtroppo un suo chiodo fisso, ma tornerò su questo) intitolato a Giacomo Matteotti. In realtà questo, che prenderà poi, dopo l’uccisione dei due fratelli, il nome di “Colonna Italiana Rosselli”, annoverava tra i 50 e i 150 uomini reclutati tra gli esuli italiani in Francia da “Giustizia e Libertà” e gli anarchici. L’ultima testimonianza della partecipazione di Carlo alla resistenza spagnola è un suo discorso da Radio Barcellona (novembre ’36) in cui pronuncia le parole che diverranno il motto di tutti gli antifascisti italiani: «Oggi qui, domani in Italia». E aggiunge: «È con questa speranza segreta che siamo accorsi in Spagna».

Nella primavera avanzata del ’37, rientrato in Francia, soggiorna a Bagnoles-de-l’Orne, in Normandia, per curare i postumi della ferita in Spagna. Lo raggiunge il più giovane fratello Nello che prima di espatriare inseguito dalla polizia fascista, aveva compiuto anche lui un clamoroso atto di sfida alla dittatura. In un giorno di tempesta a Livorno riesce a raggiungere un teatro dove sono riuniti i giovani ebrei della città, raggiunge il palco e spiega affannato e appassionato di essere un ebreo senza fede e senza riti ma in una cosa legato all’ebraismo al punto di non potervi mai rinunciare: «il senso, il culto, la difesa della libertà». Si era alla vigilia dell’emanazione delle leggi razziali che avrebbero decimato gli ebrei italiani…

E qui, a Bagnoles, il 9 giugno scatta la trappola: una squadra di cagoulards, miliziani della Cagoule, formazione eversiva della destra francese, su mandato dei servizi segreti fascisti (Ovra) e su commissione del ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, ferma con un pretesto l’auto su cui i due fratelli tornano a casa da uno stabilimento termale. Li fanno scendere e poi gli sparano decine di pistolettate. Carlo muore sul colpo, Nello, colpito per primo, sarà finito a coltellate. I colpevoli, dopo numerosi processi, riusciranno quasi tutti a tornare liberi, pene lievi a qualcuno. I Rosselli verranno dapprima sepolti nello storico cimitero parigino di Père Lachaise, tra i Grandi di Francia; ma nel ’51 mamma Amelia vorrà la traslazione delle salme in Italia, nel cimitero monumentale di Trespiano, un piccolo borgo di Firenze dove saranno più tardi sepolti anche Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi, Spartaco Lavagnini e Piero Calamandrei che scriverà sulla tomba un secco epitaffio: «Giustizia e Libertà/ per questo morirono/ per questo vivono». A Trespiano l’orazione funebre sarà pronunciata dall’anziano Gaetano Salvemini alla presenza del presidente della Repubblica di allora, Luigi Einaudi.

Ho ricordato la denuncia aperta della pavidità del cugino Alberto Moravia. Ma c’è di peggio e vale la pena di raccontarlo per un quadro delle pubbliche vergogne italiche nel tragico (ma anche grottesco) incrocio del destino di tre generazioni. Mi riferisco al raggelante ritratto di un liberale gobettiano e stretto amico dei fratelli Rosselli che passa presto al servizio di Costanzo Ciano (fascistaccio della prima ora, poi ministro, infine addirittura presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni) e poi del figlio Galeazzo. Si chiamava costui Giovanni Ansaldo, considerato ancor oggi, da qualcuno, uno dei grandi del giornalismo italiano del Novecento. Bene, anzi male: questo Ansaldo non solo superò indenne la bufera della guerra e la caduta del fascismo, ma negli Anni Cinquanta si mise al servizio della peggiore Dc, quella del boss Silvio Gava che lo impose come direttore del “Mattino” di Napoli. Ma chi aveva memoria storica non esitò a rinfacciargli, del suo passato, la pagina forse più ignobile: il commento all’assassinio di Carlo Rosselli steso da Ansaldo sul foglio livornese allora dei Ciano (“Il Tirreno”, che oggi ha tutt’altra impronta, democratica), dopo l’assassinio di Carlo Rosselli. Tra falsi e oscenità firmate da uno che pure gli era stato amico, lo descrisse come «ambizioso e tenace nelle sue ambizioni, Rosselli era senza scrupoli nell’uso dei mezzi pratici, dispregiatore degli uomini di cui si serviva (…) Per isfogare in qualche modo la torbida voglia d’azione che lo tormentava, si diede a organizzare attentati e manifestazioni abortive di antifascismo (…) In queste imprese, tra tragiche e ridicole, egli consumò anche buona parte del suo cospicuo patrimonio (…) Era diventato nettamente comunista».

Vero niente. Sul mensile del Pci “Lo Stato operaio”, direttore Palmiro Togliatti, lo si ricorderà piuttosto come «una delle guide dell’antifascismo tra strati di borghesia e di intellettuali e per questo odiato dal regime della “gente per bene”». Togliatti aggiungeva: «Avversari decisi di Carlo Rosselli» perché egli sosteneva la necessità di «liberare il socialismo politico dall’incapsulamento marxista arrivando alla rottura tra socialismo e marxismo», i comunisti riconosceranno però che «è frequente incontrare negli strati che Carlo Rosselli rappresentava degli esempi di quel coraggio fisico e di quella devozione alla causa della libertà che egli impersonò degnamente» con la promessa «di fare tutto il loro dovere per vendicare» i due fratelli.

(Per entrare nell’universo affettivo e politico della famiglia Rosselli, mi sono avvalso di quattro guide sicure e, ciascuna a suo modo, straordinarie: le preziose Memorie di mamma Amelia, edite postume dal Mulino vent’anni addietro e in cui c’è tra l’altro lo sprezzante giudizio sul nipote Alberto Moravia; il recentissimo Gli irriducibili. I giovani ribelli che sfidarono Mussolini di Mirella Serri, appena uscito per Longanesi; e, soprattutto, la splendida biografia di Giuseppe Fiori: Casa Rosselli, Einaudi 1999. (Per inciso, Peppino Fiori aveva la straordinaria capacità di fare storia con gli strumenti di una narrazione piana e chiara, con l’esercizio critico della ragione ma anche con grande e ragionata passione civile di cui erano state testimonianza altre sue biografie: quella, pur essa fondamentale, su Antonio Gramsci; così il vivido ritratto di un altro uomo politico sardo, Emilio Lussu; così il libro su Enrico Berlinguer; e, ancora, quello su Ernesto Rossi, e l’appassionato racconto della vita dell’anarchico Michele Schirru, fucilato nel ’31 del secolo scorso scolo per aver pensato di attentare alla vita di Benito Mussolini). Infine, nel lontano 2003, il Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita dei fratelli Rosselli diede alle stampe (Carocci ed.) gli atti del convegno celebrativo: Politica, valori, idealità – Carlo e Nello Rosselli maestri dell’Italia civile, a cura di Lauro Rossi.