LUI VISTO DA LEI VISIONI

Faccio io

 

Quando si mette in testa di inventarsi idraulico, elettricista, falegname. E non ne vuole sapere di lasciare che lei cambi da sola una lampadina o fissi le viti dello sportello in cucina. E se la riparazione non ve in porto…

Incrociandola nel corridoio con tenaglie o martello in mano, neanche l’avesse sorpresa a spiargli i messaggi sul cellulare, lui la fulmina: «Che cosa pensi di fare?». Gli è partito un ghigno in volto a sentirla dire con nonchalance: «Volevo svitare la guarnizione del rubinetto per ripulirla dal calcare». Si è sganasciato dalle risate udendo le parole: «Volevo appendere due quadretti nello studio».

La replica è scontata, va presa con rassegnazione: «Dammi qua, faccio io». Gonfia il petto mentre lo dice, e intanto spinge le maniche del pullover sopra ai gomiti. Le piccole riparazioni in casa sono affar suo, inutile sarebbe tentar di dire che no, non importa, anche da sola lei è capace di cambiare una lampadina o usare il trapano per attaccare una mensola.

Custodisce gelosamente gli attrezzi nei suoi spazi: cantina, garage, capanno in giardino, ripostiglio o, in mancanza di uno di questi, nella zona in basso della sua parte di armadio, tra le racchette da tennis e la borsa da palestra. Guai a chiedere, dopo avere rovistato nei cassetti della credenza: «Dove sono i chiodi?». Risponde con un’altra domanda: «Per cosa ti servono?».

Dopo un minuto compare con chiodi e martello e strappandole il quadro di mano pronuncia la fatidica frase: «Faccio io».

Terminato il lavoretto si mostra tronfio come se, invece di aver ripulito il filtro della lavatrice, avesse vinto il Nobel per la fisica o fosse Marconi al termine dell’esperimento riuscito di trasmissione del suono. «Visto?», si compiace con l’aria di chi riesce a far tutto con quelle mani d’oro.

Un senso d’onnipotenza sembra pervaderlo quando si tratta di riparazioni domestiche, piccole o grandi che siano. Anzi, maggiore è il problema da risolvere, più esaltante è la sfida.

Tenta di dire lei: «Devo chiamare l’idraulico perché…». Non le lascia finire la frase: «L’idraulico? – chiede lui allibito – Ma sai quanto vuole all’ora e magari non ti fa neanche la ricevuta? Dimmi qual è il problema: faccio io».

Oppure la rassicura che appena uscirà dall’ufficio passerà lui a sbloccare l’impianto dell’aria condizionata: «Non chiamare il tecnico», tuona.

Quanto più lontano è dal mestiere necessario per affrontare il lavoro in questione, tanto più è certo di poter provvedere con le proprie mani: l’idraulico perfetto è un professore di filosofia teoretica, il miglior fabbro un social media manager, l’elettricista provetto un impiegato di banca o, al limite, un veterinario.

Solo chi fa quei mestieri per professione, in caso di lavoretti in casa propria, chiama l’artigiano competente. Invece, più svolge una professione intellettuale, più smania per dimostrare le proprie abilità manuali: sono questi, di solito, gli esaltati della prestazione nell’aggiustaggio degli elettrodomestici e degli apparecchi domestici.

Il suo «faccio io» diventa poi un annuncio di sventura, una sorta di maledizione di cui è possibile prefigurarsi i particolari, quando non si tratta «solo» di avvitare una lampadina o piantare un chiodo. Se, dopo aver sacramentato per tre ore sudando come un cinghiale ed essersi anche tagliato un dito, non ha riparato il guasto e per di più ha peggiorato la situazione, è una sventurata quella che amorevolmente e con un pizzico di senso materno gli dice: «Lascia stare, domani chiamo il tecnico».

Incauta, sprovveduta, masochista! È come sventolare il drappo rosso davanti a un toro. Il quale, per quanto domestico, ed anche se stremato, riprende vigore: «Lascia stare? Non se ne parla! Ho detto che faccio io, ed io farò».

Insistere può solo peggiorare le cose. Quando a sera, attorniato dai pezzi della lavatrice che non è più riuscito a rimontare, è costretto a gettare la spugna, non ammette la sconfitta e rappezza così: «Sai qual è il problema? È che tu hai comperato una sottomarca e un affare così quando si rompe non si può più riparare. Inutile che chiami il tecnico, non c’è più niente da fare. Bisogna comperarne una nuova». E chi paga, ovviamente, è lui.

Per aggirar l’ostacolo l’unico rimedio è, in caso di guasto, chiamare l’artigiano competente in materia quando lui non c’è, e prendere appuntamento di nascosto quasi si fosse due amanti. Se venisse a scoprirlo assumerebbe un atteggiamento di lesa maestà sbraitando che si stanno buttando via soldi, quando lui avrebbe potuto risolvere il problema senza spendere un euro.

Mai intromettersi con il suo «faccio io». Se non condivide un progetto lascia fare, ma aspetta la prima occasione per farla pagare: «Vuoi dipingere di rosa e fucsia le pareti del guardaroba? Okay, fallo», concede dall’alto, storcendo il naso e scuotendo la testa. E non appena il rullo comincia a passare sul muro, si intromette: «Il colore andava diluito con più acqua. Bisognerebbe cominciare da sinistra, non da destra. Dall’angolo, non dal centro. Dal soffitto, non dalla parete».

E non contento: «Il commesso della mesticheria ti ha fregato: ti ha venduto troppa pittura. Questi pennelli non sono adatti…». Allo sfinimento. Poi, se al termine, il lavoro è riuscito egregiamente: «Qui c’è una pennellata di troppo. Là avresti dovuto lasciare due millimetri di bordo. Lungo il battiscopa c’è qualche imperfezione…». La conclusione? «Ho già capito, la prossima volta tocca fare a me».

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