ATTUALITÀ STORIE

L’ultimo discorso di Matteotti

Il 10 giugno del 1924, Giacomo Matteotti venne rapito e ucciso dai fascisti. Dieci giorni prima aveva tenuto, alla Camera, il discorso con cui denunciava pubblicamente i brogli degli stessi fascisti ai danni dei candidati dell'opposizione, alle elezioni del 6 aprile 1924. Queste sono le sue parole, con le quali firmò la sua condanna a morte

30 maggio 1924. La Camera è chiamata a convalidare in blocco quasi tutti i deputati eletti il mese prima. Davanti a Mussolini (che resterà muto e immobile per tutta la seduta), il socialista Giacomo Matteotti denuncia con forza le violenze e i brogli delle squadracce fasciste ai danni dei candidati dell’opposizione. Scorro le ingiallite pagine dei resoconti stenografici di quella seduta di quasi un secolo addietro.

Matteotti: «Contestiamo in tronco la validità delle elezioni di aprile. La vostra lista ha ottenuto con la forza i voti necessari per far scattare il premio di maggioranza…»
Voci da destra: «Basta, la finisca! Non possiamo tollerare che ci insulti!»
Matteotti:«Avete sostenuto che le elezioni avevano un valore assai relativo, perché il governo non si sentiva soggetto al responso elettorale e era deciso a mantenere il potere anche con la forza…».
Farinacci, il famigerato ras di Cremona: «Sì, sì, è così! Noi abbiamo fatto la guerra!»
Matteotti: «Per vostra stessa conferma, dunque, nessun elettore è stato libero di decidere».
Voce da destra: «E i due milioni che hanno preso le minoranze?»
Farinacci: «Potevate fare la rivoluzione!»
Il presidente della Camera, Alfredo Rocco (che si farà più tardi truce nomea con un vergognoso codice penale) non tacita i camerati ma cerca di intimidire Matteotti: «Si attenga all’argomento!»
Matteotti: «Presidente, forse ella non m’intende: ma stiamo parlando di elezioni! Esiste una milizia che durante le elezioni…»
Si grida: «La milizia non si tocca! Viva la milizia fascista!»
Farinacci: «Erano i balilla!»
Matteotti: «È vero, onorevole Farinacci: in molti luoghi hanno votato anche i balilla».
Farinacci: «Per voi hanno votato i disertori! Imboscati!»
Matteotti: «In sei circoscrizioni su quindici le operazioni che si compiono normalmente nello studio di un notaio sono state impedite con la violenza».
In aula è il putiferio. Eppure Matteotti, imperturbabile, riprende: «A Iglesias il collega Corsi stava raccogliendo le trecento firme e la sua casa è stata circondata…».
Farinacci: «Va finire che faremo davvero quel che non abbiamo fatto!»
Matteotti: «A Melfi s’impedì con la violenza la raccolta delle firme… In Puglia fu bastonato persino un notaio… A Genova rubarono i fogli con le firme già raccolte…».
Da destra: «Per voi ci vuole il domicilio coatto! Andatevene in Russia!».
Matteotti (che non raccoglie le provocazioni): «…Presupposto essenziale di ogni libera elezione è che i candidati possano esporre pubblicamente e liberamente le loro opinioni. Ma questo non fu possibile. L’onorevole Gonzales, al quale fu impedito di tenere a Genova un comizio, convocò una conferenza privata: i fascisti invasero la sala e a bastonate impedirono all’oratore di aprire bocca…». Le urla continuano, sempre più alte.
Rocco: «Onorevole Matteotti, sia breve e concluda!»
Matteotti, imperterrito: «A Napoli, con il ricorso alla milizia armata, fu impedito di tenere una conferenza all’onorevole Amendola, capo dell’opposizione costituzionale….»
Da destra: «Ma che costituzionale! È un sovversivo come voi!»
Matteotti: «Su cento nostri candidati, sessanta non potevano circolare liberamente nella loro circoscrizione!»
Da destra: «Per paura, avevano paura!»
Filippo Turati reagisce, tra il commosso e lo sdegnato: «Sì, paura! Come nella Sila quando c’erano i briganti, avevamo paura!»
E Rocco insiste: «Onorevole Matteotti non provochi incidenti e concluda!»
Matteotti: «Protesto! Non sono io a provocare, ma gli altri che m’impediscono di parlare!»
E Rocco: «Ha finito? Allora ha facoltà di parlare l’onorevole…»
Matteotti scatta: «Ma che maniera è questa! Lei deve tutelare il mio diritto di parlare!»
Scoppia un nuovo casino, di cui il presidente della Camera approfitta per ammonire Matteotti: «Se ella vuole parlare, continui, ma prudentemente!»
E lui, senza prudenza: «I candidati non avevano libera circolazione. L’onorevole Piccinini fu assassinato nella sua casa, davanti a moglie e figli, per avere accettato la candidatura nonostante prevedesse quale sarebbe stato il destino suo! E i seggi elettorali? Quasi ovunque erano composti solo di fascisti. In altri luoghi furono incettati i certificati elettorali, e certuni votarono dieci, venti volte!»
«Le prove! Lei deve provare quando dice!», gli grida il sottosegretario Finzi, seduto davanti a Mussolini.
E Matteotti: «Tutto documentabile. E non ho parlato ancora della provincia di Rovigo, che è la mia ed anche la sua, onorevole Finzi: la vostra responsabilità è gravissima!»
Finzi: «Me ne onoro!»
Matteotti: «Noi difendiamo la libera sovranità popolare: ne rivendichiamo la dignità chiedendo l’annullamento delle elezioni inficiate dalla violenza!»

Dieci giorni dopo, il 10 giugno 1924, Matteotti verrà rapito all’uscita di casa, a Roma, nei pressi del Lungotevere, da quattro sgherri di Mussolini. Ucciso a pugnalate, il cadavere sarà nascosto nella macchia della Quartarella, poco lontano dalla Capitale, dove verrà ritrovato solo il 16 agosto. Poi l’Aventino dei deputati antifascisti (che i comunisti interromperanno per riprendere, ancora per poco, la battaglia in Parlamento).  Il 3 gennaio, al culmine di quella che è la più grave crisi del fascismo, Mussolini tiene alla Camera il famoso discorso in cui si assume «io, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di quanto è accaduto. Se il fascismo è stato ed è un’associazione a delinquere, io sono a capo di questa associazione a delinquere!»

Il colpo di stato è definitivamente consumato.

P.S. Secondo Giovanni Marinelli, capo della polizia segreta del duce, che lo rivelò a Cianetti e Pareschi (tutti e tre fucilati a Verona insieme a Galeazzo Ciano per il voto della notte del 25 luglio che destituì il duce), Mussolini rientrato furibondo a Palazzo Chigi dopo il discorso di Matteotti, si rivolse a Marinelli urlandogli: «Cosa fa questa Ceka? Cosa fa Dumini? Quell’uomo dopo quel discorso non dovrebbe più circolare…». E allora il gerarca avrebbe ordinato al suo sicario di uccidere. Ma più tardi altri storici (tra cui Mauro Canali) hanno messo in discussione questa versione: l’ordine di eliminare il leader socialista venne proprio e direttamente da Mussolini e non tanto per le truffe elettorali quanto per impedire a Matteotti di denunciare un grave caso di corruzione che aveva riguardato lo stesso duce, altri gerarchi e alcuni esponenti di casa Savoia per la concessione alla società petrolifera americana Sinclair Oil, in cambio di tangenti, l’esclusiva per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi presenti nel sottosuolo d’Italia e delle colonie.