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Sono un rom (e ne vado fiero)

Non è mai stato facile essere un rom. Non lo è certamente oggi, in un mondo più che mai dominato dalla paura di tutto ciò che è "altro"

Cosa vuol dire essere uno “zingaro” oggi. Prova a spiegarlo dal suo punto di vista Valeriu Nicolae, attivista per i diritti dei rom, nell’articolo Dedicato ai rom meno fortunati di mesulla rivista “Internazionale”, che lo ha pubblicato nella traduzione di Antonio Cavallaro. Recentemente Nicolae ha scritto un libro, La mia esagerata famiglia rom (Rubbettino 2018), che contiene anche una versione di questo articolo.

Fino a sette anni avevo una sola identità: quella di un bambino. Trasferendomi in una città più grande della Romania, mi è apparso subito chiaro che non ero un bambino romeno “normale” ma un bambino “zingaro”, che i romeni sopportavano. Lavorando duro per anni, sono stato promosso da “zingaro puzzolente” a “zingaro”, poi da “zingaro tutto sommato ok”, a “zingaro buono”, a “rom” e infine a romeno e a “romeno di cui andare fieri”, titolo con il quale sono stato battezzato da una tv della Romania. Non preoccupatevi, è solo un titolo onorifico. Qualsiasi romeno che ho fatto incazzare potrebbe richiedere una rivalutazione e degradarmi di nuovo. Alla fine del 2013, sono stato canonizzato “cittadino dell’Europa” ricevendo un riconoscimento dal parlamento europeo.

È forte essere uno zingaro. Far parte di una minoranza etnica così avvantaggiata: un po’ animali e un po’ uomini, in parte maghi, davvero una cosa meravigliosa! Siamo le sfingi viventi, i Pan e i centauri d’Europa. La maggior parte della gente è stata gentile con noi per secoli, ha fatto del suo meglio per addomesticarci. Ci è voluto tanto tempo per domarci. Parte integrante del programma è stato l’accesso illimitato al lavoro per oltre 500 anni. Tutto questo ci ha resi così felici che abbiamo deciso di farlo volontariamente, talvolta persino incatenati. Durante il ventesimo secolo abbiamo viaggiato liberamente – completamente a carico di alcuni generosi governi europei – verso destinazioni esotiche come Auschwitz, Buchenwald e la Transnistria. Ci siamo però comportati male e ci siamo lamentati ingiustamente della qualità dei trasporti, del cibo e del trattamento mettendo in imbarazzo i nostri benefattori. Nessuna meraviglia dunque se alcuni europei siano ancora così arrabbiati: sembra che non abbiamo imparato nulla da quelle esperienze e continuiamo a lamentarci di “cose stupide come il razzismo e l’esclusione”. Senza contare che buona parte di quegli europei continuano ad augurarci il meglio… in paradiso. Quello di Hitler, di Horthy e di Antonescu. È così!

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