DAILY LA PAROLA

Manganello

Il manganello, in dotazione alle forze dell'ordine con il nome di sfollagente, oggi tornato agli onori della cronaca, purtroppo non sempre a salvaguardia della sicurezza
foto archivio “La Repubblica”

Manganello, randello o bastone, si legge nel vocabolario. Come quello usato dalle squadre fasciste, ma anche quello ricoperto di gomma in dotazione alle forze dell’ordine (sfollagente). Uno strumento, tornato agli onori della cronaca, purtroppo non sempre a salvaguardia della sicurezza.

È recente il caso del giornalista di Repubblica Stefano Origone, vittima di un’aggressione mentre stava seguendo a Genova scontri tra polizia e antifascisti per un comizio di Casapound. «Sono un giornalista, sono un giornalista», ha gridato Origone, mentre i poliziotti gli andavano incontro alzando i manganelli. Il cronista è finito in ospedale con dita e costole rotte.

Nel 2014 furono contestati gli interventi della polizia contro gli operai della Ast di Terni che manifestavano a Roma contro i licenziamenti. Lavoratori, denunciò Maurizio Landini allora segretario Fiom, «sono stati colpiti dalle manganellate. Ma che diano l’ordine di colpire quel che c’è da colpire in un paese di ladri, di gente che evade, di corruzione, se la vengono a prendere con gli unici onesti? Ma come siamo messi? Noi siamo lavoratori come loro e non vogliamo gli scontri di piazza», tuonò Landini.

Il manganello in dotazione alla polizia fa la sua prima comparsa in Inghilterra nell’Ottocento. È oggi usato dalle forze dell’ordine di diverse nazioni per la difesa in aggressioni o sommosse. Basta pensare al difficile lavoro degli agenti per le ripetute violenze negli stadi.

Il manganello è stata l’arma preferita delle squadre fasciste contro gli oppositori. I fascisti erano organizzati in squadre d’azione ed erano riconoscibili per il manganello, la camicia nera, il teschio sulla cintura, il fez in testa e il saluto romano. Durante il regime c’era anche chi portava in tasca il santino della Madonna del manganello, immagine diffusa soprattutto nel sud Italia che, a onor del vero, mai ricevette un riconoscimento ecclesiastico. Dietro al santino era impressa una “preghiera” composta da Asvero Gravelli, giornalista fascista e direttore della rivista “Antieuropa”: «O tu santo manganello, tu patrono saggio e austero, più che bomba e che coltello coi nemici sei severo. O tu santo manganello, di nodosa quercia figlio ver miracolo opri ognor, se nell’ora del periglio batti i vili e gli impostor. Manganello, manganello, che rischiari ogni cervello, sempre tu sarai sol quello che il fascista adorerà».

Migliaia i casi di oppositori del regime colpiti dalla furia dei manganelli fascisti. Nel romanzo M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati, uscito quest’anno, si ricorda, ad esempio, di Piero Gobetti, il gracile, giovane direttore de “La rivoluzione liberale”, atteso in strada da un gruppo di squadristi: «lo bastonano a sangue, procurandogli gravissime lesioni interne; una piccola folla assiste sgomenta e prudente alla lotta di un uomo contro una dozzina». Giacomo Matteotti (qui, su TESSERE, il suo ultimo discorso, nell’articolo di Giorgio Frasca Polara) già nel 1923, prima di essere barbaramente ucciso il 10 giugno 1924, annotava e documentava, insieme a 42 uccisioni, 1112 bastonature, percosse e ferimenti attuate dai fascisti.

Innocuo e scherzoso invece il manganello di plastica colorata che compare a Carnevale. Arlecchino ne ha sempre uno per difendersi dai nemici.