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Primo Levi, il cronista

In attesa dell'evento dedicato a Primo Levi nel centenario della sua nascita, che TESSERE ha organizzato dal 26 al 28 luglio, al Rifugio Gualdo a Monte Morello (Sesto Fiorentino), riproponiamo il brano "Omaggio al cronista ignoto", che lo stesso Levi scrisse nel 1984

Questo articolo è comparso nel blog “guardare negli occhi l’assurdo” del direttore di TESSEREDaniele Pugliese.

Nell’appassionata biografia di Primo Levi che TESSERE ha pubblicato nel 2017 – trentennale della morte dello scrittore torinese, mentre quest’anno si ricordano i cent’anni dalla sua nascita – notavo che, malgrado i «quasi 300 articoli pubblicati su una miriade di testate – fra le quali spicca la piemontesissima, anzi torinesissima “La Stampa” – a lui non era venuto in mente di chiedere l’iscrizione all’Albo dei pubblicisti e nessuno evidentemente gliel’aveva proposto. All’epoca era rimasta nella mia penna la richiesta che quella onorificenza – l’iscrizione d’ufficio all’Ordine dei giornalisti – gli venisse conferita in memoria, postuma e honoris causa.

Ora che metto a fuoco l’obiettivo e se ne presenta l’occasione, avanzo la proposta, me ne faccio promotore, invito chi di dovere a compiere i propri passi e a far quanto gli compete. Per dar maggior peso alla mia idea mi avvalgo di uno di quei testi meno noti degli scritti di Primo Levi, contenuto in quelle che nelle Opere sono state intitolate Pagine sparse.

Il brano si intitola Omaggio al cronista ignoto ed è tratto da l’Almanacco dei Cronisti del Piemonte e Valle d’Aosta del 1984.

A suggello del 1984, che per pigrizia mentale e fame di presagi ci siamo affrettati a battezzare l’anno Orwell, vorrei anteporre a questo Almanacco un elogio del cronista, suo artefice collettivo e quasi sempre ignoto. Il cronista è il fante del giornale, anche se oggi raramente è appiedato. È in prima linea, oppresso dalla fretta, del terrore di mancare l’appuntamento col fatto o col fattaccio.

Gli è negato lo schermo caritatevole (ed egoistico)  dell’ignoranza: deve ficcare il naso nella realtà più crudele e sordida, quella che noi benpensanti rimuoviamo. Inoltre, deve reperire, descrivere e trascrivere, in pochi minuti, eventi che sfidano l’esperienza dello specialista, sociologo, criminologo, medico, ingegnere, tecnico: il lettore non si aspetta da lui la pura «fotografia»  del fatto, ma vuole anche l’antefatto, lo sfondo, il perché. Come stupirsi se talvolta è in difetto?

Vediamolo nella sua azione quotidiana, che spesso è un combattimento. Deve cogliere al volo le segnalazioni, fiutare nell’aria, distinguere le piste vere dalle false. Precipitarsi sul posto, in gara con i suoi colleghi degli altri giornali: generalmente sono suoi amici, ma in quel momento sono concorrenti e rivali.

Fendere la ressa, interrogare a bruciapelo i testimoni o addirittura le vittime degli incidenti che hanno altro da pensare, leggono nei suoi occhi null’altro che una curiosità vorace e fredda, e vedono in lui l’avvoltoio e la iena. O anche: ricostruire meglio che può, sulla base di monconi d’informazione estorti a torve reticenze, il complicato tamponamento nella nebbia, il disastro di fabbrica, il crollo, l’autocisterna che si sfascia e spande il suo contenuto (dal nome chimico mai sentito, impronunciabile) di cui ignora le proprietà, l’uso, il destinatario. Se prova la tentazione del giudizio e del commento, la deve reprimere; non è per lui, è per chi verrà dopo ed ha diritto alla firma. Lui deve essere obiettivo! Un obiettivo, come quello del suo collega e consorte fotoreporter.

Che cosa pretendiamo di più da lui, noi lettori frettolosi, distratti, assediati dai nostri problemi? Pretendiamo tutto: vorremmo che il cronista fosse un periscopio a 360°, che setacciasse tutta la massa di notizie che matura nel mondo in 24 ore, gettasse la crusca e ci desse il grano: solido, nutritivo, puro. Insomma, chiediamo troppo, siamo esosi.

Eppure, mi sia concesso fargli qui, a titolo personale, qualche raccomandazione. Non dimentichi mai il potere che ha nelle mani: a differenza di quanto avveniva in tempo fascista (quando il regime vietava di dar notizia dei suicidi e degli aborti), il cronista d’oggi ha facoltà discrezionali; poiché non gli è possibile raccontare tutto, scelga l’essenziale, la notizia non effimera, non futile. Non lusinghi la morbosità del lettore; lo tratti come un adulto responsabile, anche se non sempre lo è. Eviti le stramberie di stagione, dubbie e subito dimenticate. Non finga di aver capito quello che non ha capito: è inutile virgolettare i termini di cui non conosce il significato, il lettore non ne ricaverà che un’impressione di confusione e di estraniamento. Se lo spazio glielo consente, non trascuri il «risultato delle puntate precedenti», specialmente per quanto riguarda la cronaca politica: non tutti i lettori leggono il quotidiano quotidianamente, e non tutti hanno una buona memoria. E soprattutto: ricordi che per quasi tutti cittadini «venire sul giornale» è sgradevole, nocivo o tragico: quanto scrivere può ledere interessi legittimi, violare privatezza e ferire sensibilità; ma può anche raddrizzare torti, concentrare l’attenzione sulle questioni più attuali. Dobbiamo in buona parte al cronista ignoto se, a partire da una decina d’anni, l’opinione pubblica si è evoluta, e se il cittadino percepisce oggi come suoi i problemi della droga, del degrado urbano, della delinquenza organizzata. Una cronaca civile e matura è, ad un tempo, specchio e fondamento di una società civile e matura.