Molti vocabolari on line – quello del “Corriere della Sera”, per esempio – non la riportano nemmeno questa parola, probabilmente perché è abbastanza nuova e confinata al linguaggio aziendale. Nel quale, spiega la Treccani, sta ad indicare «di chi opera con il supporto di metodologie e strumenti utili a percepire anticipatamente i problemi, le tendenze o i cambiamenti futuri, al fine di pianificare le azioni opportune in tempo».
Derivato dall’inglese proactive, proattivo sarebbe composto, stando appunto alla Treccani, dalla particella pro e non dall’aggettivo attivo ma dall’aggettivo reattivo, questione su cui Wikizionario – il vocabolario libero di Wikipedia che proprio in questi giorni bussa alle porte a chiedere un contributo economico per la propria sopravvivenza – non concorda, rimandando appunto ad attivo ed aggiungendo questo significato: «Di chi ha la capacità di reagire agli eventi in modo consapevole e responsabile non lasciandosi condizionare dalle proprie impulsive remore psicologiche e dalle circostanze ambientali esterne». Come si noterà, però, il verbo impiegato è “reagire”, non “agire”.
In entrambi i casi, tuttavia, è la particella di derivazione latina “pro” che viene impiegata nella sua accezione anticipatoria, quella solitamente assolta dalla sua gemella “pre”, anziché nella sua dimensione generosa, vale a dire di qualcosa a favore di qualcos’altro.
Così, a chi scrive, piace pensarla questa parola, da riferire a chi agisce facendosi carico di chi è oggetto di quell’azione e, sì, con pre-videnza più che con pre-veggenza.
Se si fosse un po’ più proattivi anche al di fuori dell’ambito aziendale e bocconiano, se ne avrebbe beneficio, per sé e per gli altri: essere in grado di andare incontro ai problemi ed ai bisogni è salutare, riduce i primi, soddisfa i secondi. Prosit.