ATTUALITÀ IL PERSONAGGIO STORIE

Quel tragico duello fra destra e sinistra

Altro che "duello in tv" come fu quello fra Occhetto e Berlusconi ormai un secolo fa! Lasciamo perdere oggi che anche chi si becchetta è pronto a stringere patti efferati con l'avversario e qualcuno ne ha già stretto. Quello che con la sua solita magistrale penna racconta qui Giorgio Frasca Polara, fine conoscitore di ogni piega parlamentare da quando palazzo Madama è palazzo Madama, fu un duello vero a tutti gli effetti. Tragico anche per quello che la politica di allora, 1898, nascondeva.

Altro che “duello in tv” come fu quello fra Occhetto e Berlusconi ormai un secolo fa! Lasciamo perdere oggi che anche chi si becchetta è pronto a stringere patti efferati con l’avversario e qualcuno ne ha già stretto. Quello che con la sua solita magistrale penna racconta qui Giorgio Frasca Polara, fine conoscitore di ogni piega parlamentare da quando palazzo Madama è palazzo Madama, fu un duello vero a tutti gli effetti. Tragico anche per quello che la politica di allora, 1898, nascondeva.

Domenica 6 marzo 1898, parco di Villa Cellere, fuori Porta Maggiore, a Roma. È lì che, nel primo pomeriggio, lo sfidante Felice Cavallotti, garibaldino e deputato socialista ferocemente anticrispino (e quindi campione della lotta contro il malcostume politico), affronta in duello il collega Ferruccio Màcola, deputato liberal-monarchico. Il duello segna il culmine di una polemica accesissima. Màcola, direttore della “Gazzetta di Venezia”, aveva definito Cavallotti «il paglietta della democrazia secolina» con riferimento al “Secolo” di Milano, organo del radicalismo lombardo che ospitava spesso gli scritti di colui che in tanti definivano piuttosto «il bardo della democrazia». Di rimando Cavallotti aveva qualificato il rivale come «mentitore di mestiere».

La polemica era continuata a lungo, sempre più aspra. Secondo molti l’atteggiamento aggressivo di Màcola era ispirato dal presidente del Consiglio, appunto Francesco Crispi. Inevitabile che, alla fine, lo scontro degenerasse, come si usava allora, nella decisione del duello. E, per giunta, sulla base di condizioni durissime: impugnando sciabole affilate e appuntite, i duellanti non dovevano vestire maglia né portare camicia e colletto inamidati come allora era uso comune. Ora, il nuovo codice penale, entrato in vigore otto anni prima, prevedeva sanzioni per il duello, punendone con la detenzione sino a due anni se chi faceva uso delle armi avesse cagionato lesioni all’avversario. Eppure le gravi condizioni per lo scontro Cavallotti-Màcola non solo erano state fissate proprio in una sala della Camera ma tra i padrini vi erano altri deputati che avevano approvato a suo tempo il codice Zanardelli.

Màcola aveva qualche titubanza ad affrontare lo scontro. Cavallotti era famoso per essere uno spadaccino consumato: aveva alle spalle ben trentadue duelli. E allora, scavalcando i padrini che cercavano di evitare lo scontro, spedì al deputato socialista una lettera. «Io non tollero le situazioni incerte», scrisse: «Non ho il tuo brillante stato di servizio perché sono più giovane di te, ma sono come te uomo di azione. Non sarebbe bello che tu tentassi di sopraffarmi con la superiorità del tuo passato, quantunque io senta di avere il fegato sano come il tuo».

Ma anche Cavallotti doveva sentirsi questa volta non del tutto tranquillo se, ad un amico che gli manifestava assoluta sicurezza sull’esito dello scontro, rispose: «Tante volte non si sa mai quel che può succedere quando ci si sente ben sicuri…». E ad un altro amico, che gli aveva prestato la sciabola per lo scontro con Màcola, scrisse: «Domani mi batto. È il mio trentatreesimo duello, gli anni di Cristo, ma ti prometto che non ne farò più».

E venne il momento del duello. Dirigeva lo scontro il deputato liberale Guido Fusinato, che parecchi anni dopo sarà ministro in un governo Giolitti. Al primo assalto Cavallotti attaccò con impeto ma parve che Màcola, ostentando freddezza assoluta, lo avesse toccato alla gola. Fu dato l’alt. Ma “il bardo” non aveva riportato neanche una scalfittura. Al secondo attacco nuova sospensione: sembrò che stavolta Cavallotti fosse stato toccato al lato sinistro del ventre, ma fu solo un’impressione. Al terzo assalto Cavallotti si fece sotto con il solito impeto, ma Màcola aveva dalla sua non solo il sangue freddo ma anche il vantaggio della maggiore altezza. Accadde così che lo sfidante si cacciò sotto la sciabola dell’avversario che gli trafisse la gola. Un fiotto di sangue, l’irreparabile. Il medico, dr. Montenovesi, tentò di salvare il ferito con una sommaria tracheotomia. Tutto inutile. Cavallotti morì in pochi minuti.

La tragedia ebbe risonanza enorme. I funerali del deputato socialista furono paragonati, per l’imponente partecipazione popolare, alle esequie per Garibaldi. Màcola fu accusato di essere stato il consapevole sicario di Crispi, il quale si era comunque liberato di un implacabile nemico politico. Cavallotti conduceva da anni una campagna durissima contro il presidente del Consiglio accusandolo di bigamia (accusa fondatissima: i documenti che la provano sono stati ripescati e pubblicati da Enzo e Nicola Ciconte: Il ministro e le sue mogli, ed. Rubettino, 2010), falsa testimonianza, concussione, millantato credito, corruzione. Màcola, subito dopo il duello, scappò a Venezia: se fosse stato colto sul fatto sarebbe stato subito arrestato perché l’immunità parlamentare non prevedeva, già allora come oggi, l’impunità in flagranza di reato.

Per incriminarlo sarebbe stata necessaria l’autorizzazione a procedere della Camera. La procura del re di Roma chiese l’incriminazione sua e, a parte, del direttore del duello e dei padrini. Questi ultimi furono poi prosciolti, mentre Màcola fu salvato dalla maggioranza crispina: autorizzazione a procedere negata, come tante volte è stata negata in questi più recenti decenni repubblicani quando l’immunità è stata trasformata in impunità. E una volta che l’uccisore di Cavallotti prese la parola nell’aula di Montecitorio, tutti i deputati della sinistra abbandonarono l’aula.

P.S. Il duello è passato di moda, per fortuna. Nel 1999 il Parlamento, nel varare la legge sulla depenalizzazione, ha addirittura trasformato il duello da reato in contravvenzione: non c’è più traccia di questo barbaro strumento di lotta politica. Ora la destra ne pratica altri, di strumenti. Non meno barbari.

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