* ATTUALITÀ SOLIDARIETÀ

I 30 anni di Baan Unrak

Un momento nel villaggio di Bahn Ukra

Quando, negli anni ‘70, poco più che adolescente, inseriva dati in un computer per un’azienda del veronese, Donata Dolci avvertiva già che le ragioni del cuore la portavano altrove. Un altrove molto vago e indefinito, che ancora non riusciva a individuare. Di sicuro, in quella vita ci stava stretta, voleva fare esperienze più autentiche, intraprendere una ricerca spirituale, essere utile alla società.

Ora che di anni da allora ne sono passati più di quaranta, e l’anno scorso sono stati festeggiati i trent’anni dalla fondazione di Baan Unrak, Donata può dire di aver fatto davvero le scelte che allora cominciava, seppur in maniera confusa, a intuire. Oggi Baan Unrak è una realtà solida e felice, che in tutti questi anni ha accolto più di un migliaio di bambini e ragazze madri in fuga dalla Birmania (mi piace continuare a chiamarla così, anziché Myanmar, il nome dato al Paese dalla giunta militare, dopo il colpo di stato del 1989).

Baan Unrak significa in thailandese Casa della Gioia, e mai nome fu più appropriato per un luogo che, nonostante accolga bambini soli, abbandonati o comunque lontani dalle famiglie, e che hanno vissuto violenze inenarrabili e inimmaginabili, non assomiglia neppure lontanamente a un orfanotrofio, o comunque a un istituto triste. A Baan Unrak i bambini imparano che la vita non è solo violenza, crudeltà, sfruttamento, disamore, sofferenza, come purtroppo hanno imparato dalle esperienze che hanno alle spalle. Ma che può essere invece anche amore, serenità, attenzione e cura reciproca, benessere. E pian piano acquistano equilibrio, fiducia, sicurezza. Gioia autentica è davvero l’aria che si respira nelle grandi stanze affacciate sul verde brillante della jungla e che dalla mattina alla sera risuonano delle voci e delle risa dei bambini.

Dalla fine degli anni ‘80, e ora di nuovo, dopo il golpe recente, la Thailandia è il grande Paese dell’esilio per i birmani. Baan Unrak è in terra thailandese, ma ad appena 30 chilometri dal confine con la Birmania, a Sangkhlaburi, una località immersa nella foresta tropicale, una delle poche foreste pluviali rimaste in Thailandia, e colpita duramente dalla povertà e delle malattie.

È a Sangkhlaburi che Donata Dolci approda, dopo aver fatto esperienze di attività umanitaria in Israele, Malta, Cipro, Grecia, Istanbul, e aver conosciuto, in India, il movimento dell’Ananda Marga, che si basa sulla filosofia neo-umanista, la meditazione, il servizio alla società. Alla fine degli anni ‘80 vive e lavora con i bambini degli slums di Bangkok. Decide poi che la sua missione è quella di aiutare i birmani, segue tutto il confine Thailandia-Birmania e decide di stabilirsi a Sangkhlaburi, dove impianta una base da cui comincia a organizzare le spedizioni per portare sostentamento ai profughi, che dopo il colpo di stato sono fuggiti in Thailandia e vivono in situazioni di grande precarietà ed estrema povertà nella jungla. 400.000 persone in fuga dalla repressione del regime militare birmano, ma rifiutati anche dal Paese ospitante, la Thailandia, che conducono una vita di stenti: le incursioni degli eserciti dei due stati, le scorrerie di partigiani e guerriglieri, bande di delinquenti che taglieggiano, uccidono e deportano soprattutto donne e bambine per avviarle al redditizio mercato della prostituzione. Situazioni di profondo disagio sociale, con un livello di vita molto basso, di stretta sopravvivenza, e disgregazione familiare, alcolismo, droga, Aids.

È qui che nel 1990 Donata Dolci comincia a costruire la Casa della Gioia, per accogliere bambini e ragazze madri, e portare aiuto (cibo, medicinali, assistenza medica) anche alle famiglie birmane che vivono nei campi profughi nella jungla. In trent’anni, da Baan Unrak sono passati più di mille bambini, ora ce ne sono 120, con 15 ragazze madri. Tutti vengono accolti, nutriti, curati, mandati a scuola, poi proseguono gli studi a Bangkok, se vogliono fino all’Università. Molti decidono poi di restituire l’amore ricevuto, facendo un periodo di volontariato nella Casa e dedicando ai bambini le stesse cure che loro hanno ricevuto da piccoli. Nessun ragazzo viene allontanato da Baan Unrak senza un aiuto, se non per un’educazione universitaria, almeno per un lavoro, a Sangkhlaburi o nei dintorni, o anche a Bangkok.

A Baan Unrak lavora personale stipendiato e volontari che vengono da ogni parte del mondo e offrono il loro servizio per periodi più o meno lunghi. Perno di tutto è la Didi, Donata Dolci: riferimento educativo principale e nello stesso tempo manager di tutto il centro, e anche procacciatore economico che si occupa del mantenimento di tutta la struttura. Il centro non è sostenuto da nessuna autorità istituzionale, ma solo da quanti intendono dare aiuto. Le autorità thailandesi hanno sempre guardato con grande rispetto all’attività di Baan Unrak, ma sono state sempre poco collaborative. Da qualche anno BU è diventata una fondazione, e da allora fa parte di una rete di osservatori, a cui i servizi sociali si appoggiano per la tutela e l’educazione anche di bambini thailandesi che, in situazioni familiari di disagio, vengono allontanati dalla famiglia.

La Casa dei bambini è il cuore del progetto, ma nel centro ci sono molte altre attività. Una di queste è il centro di tessitura, inizialmente dedicato alle ragazze madri: donne che avevano necessità di imparare un mestiere e guadagnare soldi con un lavoro che desse loro dignità, ma che soprattutto consentisse loro di tenere vicini i bambini, magari in un’amaca attaccata alla macchina da cucire, o alla scuola materna di BU, e lontani da pericoli o da persone che, invece di prendersene cura quando la mamma era al lavoro, ne abusassero. Un progetto che contribuisce a mantenere vive le tecniche di tessitura tradizionale, con i grandi telai di legno. Alla tessitura è collegata la sartoria, dove vengono realizzati prodotti (sciarpe, borse, camicie, pantaloni, ecc.) sempre più belli, che vengono venduti nel negozio di Baan Unrak a Sangkhlaburi, online e nei mercati e nei negozi equo-solidali in Italia.

 

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Una derivazione di BU è anche la Bakery, che si trova in paese, nata con lo stesso intento della tessitura e della sartoria: insegnare un mestiere e dare un lavoro, sia ai ragazzi che a persone fuoriuscite dalla Birmania. Vi si mangiano ottimi prodotti da forno, cibi birmani e thailandesi, dolci.

Un altro progetto che parte sempre dalla Casa, ma è diretto all’esterno, è quello del relief: una volta al mese parte da Baan Unrak un pick up carico di cibo e medicine, con a bordo volontari e un medico, per portare assistenza a tante famiglie di profughi birmani – i più poveri dei poveri – che vivono nella jungla, sul confine, ma anche in territorio birmano.

Dopo il golpe, feroce e sanguinoso, del 1° febbraio scorso, l’afflusso di birmani verso la Thailandia è aumentato, ma i confini ora sono più vigilati, anche per il Covid. In Birmania i soldati arrivano nelle case di notte, rubano tutto, stuprano, uccidono. Da qualche anno, la Didi ha aperto anche una piccola Children’s Home in Birmania, sulla strada principale che porta a Rangoon (ora Yangoon), la vecchia capitale: cinque bambini ospiti, e una scuola materna. Ora, racconta lei, tutti pronti a scappare, con le valige preparate.

A Baan Unrak il Covid non è entrato. «Siamo più limitati nei nostri movimenti – racconta la Didi -, ma per noi questo è un periodo positivo. Facciamo meditazione nella natura che ci circonda, i bambini sono più dolci e rilassati, più sensibili agli altri, molto concentrati nello studio. Hanno cambiato prospettiva: hanno fiducia nell’amore universale, l’obiettivo ora è migliorare la società».

Nonostante le difficoltà che incontra ogni giorno, e che affronta sempre con piglio molto deciso, e calma olimpica, Donata Dolci è riuscita a costruire, mattone dopo mattone, qualcosa di veramente grande. Casa della gioia, lo abbiamo detto, non è un nome messo a caso: gioia e serenità si respirano e sono tangibili in ogni angolo della casa, su ogni volto di bambino o adulto. E ogni persona che è stata a Baan Unrak torna cresciuta, arricchita, piena di gratitudine per aver avuto l’opportunità di fare un’esperienza come quella. E anche di voglia di tornare nella Casa della Gioia. 

                                                                                                                       

Il sito di Baan Unrak: 

La Children’s Home:

I progetti sostenibili 1

Il blog di Baan Unrak:

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