LA DATA

10 marzo 1964

«Hello darkness my old friend»…
Secondo quanto confessato dallo stesso Paul Simon in un’intervista, il celebre attacco di The Sound of Silence sarebbe da riferire all’abitudine del musicista di ritirarsi a comporre e suonare nella stanza da bagno, dove le piastrelle riverberavano il suono della sua chitarra, mentre l’acqua del rubinetto scorreva: al buio. A questo aneddoto è da aggiungersi poi la convinzione diffusa che la canzone sia stata scritta sull’onda dell’emozione suscitata dall’assassinio di Kennedy, in qualche modo corroborata dalle annotazioni sul retro di copertina dell’album Wednesday Morning, 3 A.M., in cui è inserita, le quali indicano che «the song practically wrote itself» nel novembre 1963.

Comunque sia andata, certo è che proprio a questo brano si deve parte del successo del duo: registrato il 10 marzo 1964 e inserito come pezzo acustico nell’album di cui sopra, in seguito vide l’aggiunta delle parti degli strumenti elettrici ed uscì come singolo. Nel 1965 Paul Simon lo inserì nel suo primo LP da solista, registrato a Londra, The Paul Simon Songbook, ma solo nel gennaio successivo la canzone, passata inosservata due anni prima e rimaneggiata da Tom Wilson, arrivò in testa alla classifica americana portandosi dietro anche l’omonimo album.

Si narra anche che lo stesso Paul Simon venne a conoscenza del suo lancio come cantautore mentre suonava in un piccolo bar della Danimarca: scorrendo le pagine della rivista musicale “Billboard”, rimase sconvolto nell’apprendere che The Sound of Silence era ormai attestato tra i cento singoli più apprezzati. Solo alcuni giorni dopo Art Garfunkel lo chiamò per informarlo della straordinaria scalata del loro brano, pragmaticamente accettando come prezzo del successo il remixaggio del produttore americano, che invece pare abbia fatto rabbrividire il povero Paul.

Resa immortale dal film Il laureato nel 1967, dove compare insieme con altri tre pezzi del duo, fu eseguita durante il concerto in Central Park che, il 19 settembre 1981, radunò 500.000 persone per ascoltare dal vivo i due musicisti riunitisi per l’occasione, quindi fu inserita nell’omonimo album nel 1982.

Al Ground Zero Memorial è lo stesso Paul Simon, accompagnato dalla sola voce della sua chitarra acustica, ad eseguirla di nuovo live in un clima di grande commozione, durante la Celebrazione del 10º anniversario dell’attentato dell’11 settembre 2001.

Al netto della gloriosa storia del brano, che sembra indissolubilmente legarsi a quella di New York, resta immutato il fascino di quella visione insinuatasi sottilmente nella mente dell’artista: luci al neon e masse umane mute, sole e in cerca di un qualche dio o anche solo di una parola, per le strade buie di una città raggelata.

Scaturita da pochi accordi di chitarra, dalla fusione perfetta delle due voci, dal gesto umanissimo e intimamente metropolitano di tirarsi su il bavero del cappotto contro l’umido e il freddo («I turned my collar to the cold and damp / When my eyes were stabbed by the flash of a neon light / That split the night / And touched the sound of silence»), l’immagine del volto che si solleva verso la luce ci rimanda oggi, a cinquantaquattro anni di distanza da quelle parole, alle centinaia di sguardi che per le nostre strade si chinano gobbi e immusoniti su altre luci: quelle vibranti e mutevoli dei telefoni cellulari.

Allora, si vorrebbe saper suonare la cetra del poeta per gridare: Gente, siete pazzi! Scuotetevi, svegliatevi, guardatevi in faccia, guardatevi intorno, osate un timido sorriso, «the words of the prophets are written on the subway walls / And tenement halls».
Non male per l’ispirazione di un ventunenne chiuso in bagno con la sua chitarra.