LA DATA

11 marzo 1818

Duecento anni fa, Mary Wollstonecraft Shelley pubblicava in forma anonima il suo capolavoro, Frankenstein. The Modern Prometheus. Attribuito in un primo momento al marito della giovane autrice (Mary all’epoca ha solo 19 anni), il celebre poeta romantico Percy Bysse Shelley, il romanzo conobbe una seconda edizione nel 1831 e questa volta la donna se ne attribuì la giusta “maternità”. Percy, nel frattempo, era perito nel naufragio della sua goletta al largo di Lerici (il mare avrebbe restituito il corpo solo dieci giorni dopo, il 18 luglio 1822, sulla spiaggia di Viareggio) mentre l’altro grande protagonista della vicenda che portò alla genesi del più famoso racconto gotico di tutti i tempi, Lord Byron, trovava anch’egli una morte prematura due anni dopo, a Missolungi, in Grecia, dove si era recato per sostenere la causa dell’indipendenza ellenica dall’impero turco.

Vite romantiche e segnate, quelle dei giovanissimi che, in una piovosa primavera del 1816, si erano dati appuntamento sulle rive del lago di Ginevra, dove l’altra componente del tragico quartetto, Claire Clermont, sorellastra della stessa Mary e amante di Byron, li aveva convinti a seguirla. Era il cosiddetto “Anno senza estate” o “Eighteen hundred and froze to death” per i paesi di lingua inglese: il tempo inclemente costrinse i quattro a trascorrere lunghe giornate confinati a Villa Diodati, dove attinsero a piene mani storie tedesche di fantasmi dall’antologia francese Fantasmagoriana.

Quindi Byron ha l’idea di lanciare una gara di scrittura ma Mary stenta a trovare l’ispirazione fino a che, letteralmente “galvanizzato” dalle conversazioni dei giovani, si materializza l’incubo da cui scaturisce il racconto.

Mary è come posseduta da questa fantasia, che le si presenta alla mente come un sogno ad occhi aperti, una rêverie, forse un déja vu o un trance: la ragazza “vede” il giovane scienziato chino sulla sua creatura mostruosa e informe, sente il suo tormento, partecipa del suo profondo turbamento; le parole del marito e della piccola compagnia, l’isolamento e le acque stregate del lago fanno il resto e il romanzo viene elaborato nella forma epistolare cara al Settecento, per tutto l’anno successivo, fino alla pubblicazione, avvenuta come si è visto nel 1818.

Gli amanti delle maledizioni letterarie potrebbero divertirsi qui a rintracciare evidenti segni di malasorte, intorno ai protagonisti di questa vicenda: dei due uomini scomparsi prematuramente già si è detto; la sorellastra di Mary, Claire Clairmont, fu in seguito respinta da Byron e separata dalla figlia Allegra, avuta dal celebre poeta; Mary stessa, che visse fino all’età di 53 anni, dette alla luce tre figli di cui uno solo sopravvisse e fu oppressa dal rimorso per il suicidio della prima moglie di Percy, toltasi la vita nello stesso 1816 in seguito all’abbandono da parte del marito.

Un quinto componente del gruppo di Ginevra, il medico John William Polidori, anch’egli autore di un racconto intitolato Il Vampiro (1819), fu infine il primo ad avviare la triste catena di disgrazie, morendo suicida a Londra nel 1821, gravato dalla depressione e dai debiti di gioco.

Ma forse erano destini comuni, due secoli orsono, quando la vita era difficile e breve. Lunga e felicissima invece fu quella della loro comune “creatura”, che ha penetrato l’immaginario collettivo non solo grazie alla potenza della pagina letteraria ma anche a quella del grande schermo, dove i rifacimenti del capolavoro gotico non si contano: cito, solo fra i prodotti che hanno visto la luce nel 2015, la versione moderna dal titolo La storia segreta del Dottor Frankenstein o la serie britannica Frankenstein’s chronicles; per tacere dell’indimenticabile Frankenstein junior di Mel Brooks (1974), ormai entrato nella leggenda del cinema.

 

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