IL NUMERO

101

È il numero dei giorni in carica del governo di più breve durata, ad oggi, tra quelli che hanno inizialmente ricevuto la fiducia dal Parlamento nella storia della Repubblica. Chiamato ironicamente dalla stampa “governo fotocopia” per la composizione del suo organico del tutto identica a quella del governo precedente, questo esecutivo cade, dopo soli 101 giorni, in seguito a un contrasto tra due ministri, portato avanti con toni molto accesi, su una questione riguardante la Banca d’Italia.

Fischiano un po’ le orecchie per certe vaghe assonanze, ma i fatti soprariportati si svolgono quasi quarant’anni fa, nel 1982, in piena Prima Repubblica: si trattava del governo Spadolini II, il quarantesimo della Repubblica Italiana e il quinto dell’VIII legislatura. Lo scontro politico, definito dai giornali come “lite delle comari”, oppose gli allora ministri del tesoro e delle finanze, rispettivamente il democristiano Beniamino Andreatta e il socialista Rino Formica, la cui divergenza di vedute sul come far fronte al repentino aumento del debito pubblico – si ventilò anche la possibilità, sostenuta da Formica, di arrivare a una tassazione delle rendite finanziarie e, in particolare, di BOT e CCT – fu all’origine di un duro scambio di battute, tra cui l’accusa di idee nazionalsocialiste mossa da Andreatta al partito socialista che fece infuriare l’allora Capo dello Stato, e partigiano, Sandro Pertini.

Lontani anni luce da quel mondo in cui la timeline delle notizie durava diverse ore – il tempo della edizione successiva di un telegiornale se non quello dell’uscita in edicola dei giornali – e dove l’utilizzo da parte dei politici di «un linguaggio da ballatoio» (cit. dalle cronache dell’epoca) veniva percepito come riprovevole, oggi fa quasi sorridere pensare a una discussione che non avvenga e non sia commentabile in tempo reale sui social, oppure a un argomento assurto agli onori delle cronache senza un hashtag e un posto nei trend topic di Twitter; quanto poi ai toni utilizzati e ai contenuti ça va sans dire… il linguaggio è del tutto cambiato. E il debito pubblico? No, quello c’è ancora.

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