12 dicembre 1969: è stata chiamata “La madre di tutte le stragi”, la bomba che esplode nella Banca nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano provocando 17 morti e più di 100 feriti.
Ma accostare il femminile che dà la vita con l’efferata strage che inaugura una stagione di attentati fascisti e tentativi di destabilizzazione non mi pare giusto.
Così come scrivere di questa “ricorrenza” 48 anni dopo, alla luce dell’infinito susseguirsi di attentati alla nostra democrazia, alcuni cruenti, altri mascherati da innocue, anzi necessarie, “piccole” riforme e “ammodernamenti” costituzionali, rischia di annegare nel mare di retorica che spesso in questi casi, invitando “a non dimenticare perché non si ripeta”, cristallizza gli eventi in un tempo statico e lontano, anestetizzando la capacità di leggere con l’aiuto del passato la realtà di oggi.
La cronaca di quegli anni ci riporta al balletto di attribuzione della responsabilità agli anarchici, con l’arresto di Pinelli (che morirà precipitando da una finestra della questura di Milano) e Valpreda, (che resterà anni in carcere anche quando sarà ormai chiara la matrice fascista), depistaggi e procedimenti giudiziari.
Nel 2005 la Corte di Cassazione concluderà che la strage fu portata avanti da «un gruppo eversivo costituito a Padova, nell’alveo di Ordine Nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura», non più processabili in quanto «irrevocabilmente assolti dalla Corte d’assise d’appello di Bari» per questo stesso reato. Al termine dell’iter processuale ai parenti delle vittime verranno addebitate le spese.