LA DATA

18 settembre 1938

Nella piazza dell’Unità affacciata sul golfo di Trieste, la splendida città costretta a fare da cassa di risonanza agli sguaiati schiamazzi del revanchismo italico e palestra di intolleranza antislava, in cui per anni si era esercitato il violento fascismo di confine, Benito Mussolini annuncia anche per l’Italia le leggi razziali. Era il 18 settembre 1938.

Il loro contenuto si precisa poi in una serie di decreti, circolari e ordinanze miranti a declinare, a imitazione delle Leggi di Norimberga emanate nel ’35, una casistica capziosa e a stabilire le modalità della discriminazione nei confronti delle persone di origine ebraica: saranno abrogate, a guerra non ancora conclusa e in un’Italia dilaniata dalla guerra civile, con una serie di regi-decreti emanati dal Regno del Sud, il 20 gennaio del 1944. La Costituzione repubblicana, varata il primo gennaio del 1948 ribadisce quindi, all’articolo 3, l’uguaglianza di tutti i cittadini «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»: ed è bene che continui a farlo, perché la memoria dei recenti orrori non si faccia troppo corta.

Fra i 96 professori sospesi dal servizio a partire dal 16 ottobre 1938 spicca quello di Enrica Calabresi, giovane scienziata naturale avviata a una brillante carriera accademica. Nata a Ferrara il 10 novembre del 1891 da una famiglia della borghesia ebraica benestante tradizionalmente incline agli studi scientifici, si rivolge prima alla matematica quindi alla zoologia, il cui studio approfondisce a Firenze, dove tra l’altro si lega sentimentalmente a Giovanni Battista De Gasperi, un promettente geologo che cadrà in una delle battaglie della prima guerra mondiale. In seguito alla morte precoce del fidanzato,  Enrica decide di dedicarsi interamente alla scienza: nel 1924 consegue la libera docenza in zoologia e, due anni dopo, viene promossa all’incarico di assistente. Accanto allo spiccato interesse mostrato fin dall’inizio per lo studio dei rettili e degli anfibi, cresce anche la sua passione per gli insetti, in particolare i coleotteri brentidi: ed è così che, donna di soli ventisette anni nell’Italia fascista, assume l’incarico di segretario della Società Entomologica Italiana e contribuisce considerevolmente ad ampliare le collezioni del Museo fiorentino de “La Specola”.

Nel dicembre del 1932 si registra una prima battuta d’arresto nella sua carriera ed Enrica dà le dimissioni dagli incarichi universitari: ufficialmente motivato da ragioni di salute, il gesto è probabilmente dovuto alla necessità di lasciare il posto al conte Lodovico di Caporiacco, giovane promessa della zoologia italiana nonché noto esponente del Partito fascista. Iscrittasi “obtorto collo” al Partito, per non dover far ritorno da sconfitta in famiglia, ottiene l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole superiori e nel 1935 torna ad affacciarsi la possibilità della carriera accademica: nominata professore incaricato di entomologia agraria all’Università di Pisa, continua a vivere a Firenze, dove dal 1937, insegna anche al Regio Liceo-ginnasio Galilei.

Tra le sue allieve, la giovanissima Margherita Hack. Il secondo avvio di carriera si interrompe in modo ancora più brusco quando, in seguito alle leggi razziali, le vengono tolti tutti gli incarichi e l’abilitazione alla libera docenza: Enrica ottiene allora un posto come insegnante di scienze presso la Scuola ebraica di via Farini e, in accordo con la famiglia, decide di non emigrare in Svizzera ma di rimanere a Firenze. Arrestata nella sua abitazione in via del Proconsolo il 18 gennaio del 1944 e condotta nel carcere femminile di Santa Verdiana, si sottrae alla deportazione ad Auschwitz ingerendo il fosfuro di zinco che da tempo portava con sé e muore il giorno 20 dello stesso mese alle ore 0.20, dopo aver scritto su un ritaglio di carta le ultime volontà, che consegnò alle suore: «prego con tutta l’anima la Madre Superiora di prendere in consegna tutti gli oggetti che mi appartengono e di non lasciarli andare nelle mani dei tedeschi». Questi ed altri particolari sono raccontati nella commossa ricostruzione biografica Un nome del giornalista Paolo Ciampi (Giuntina, Firenze 2006).

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