LA DATA

21 luglio 1979

Il 21 luglio del 1979 fu assassinato Boris Giuliano.

Siamo a Palermo. Pochi minuti prima delle otto del mattino di una bella giornata di luglio, Boris Giuliano, capo della Squadra Mobile della Questura del capoluogo siciliano, varca la soglia del portone di casa. Ogni giorno Giorgio Boris Giuliano, quarantottenne di Piazza Armerina, detto “lo sceriffo” dai suoi colleghi per le sue eccellenti capacità di tiratore e per la sua collaborazione professionale con l’FBI e la DEA americana, viene accompagnato in questura da un agente, ma, quella mattina esce di casa qualche minuto prima e va a prendere un caffè al solito bar, vicino a casa sua. Un killer, a viso scoperto, pistola in pugno, entra nel bar e spara al poliziotto alle spalle, da distanza ravvicinata, poi si dilegua in fretta, con l’aiuto dei complici che lo attendono all’esterno del locale.

Più volte Giuliano aveva detto ai colleghi che soltanto sparandogli alle spalle l’avrebbero ucciso e quella mattina così fu.

Finisce così, per mano di Leoluca Bagarella, uomo di Cosa Nostra, la vita di un uomo dedito al suo lavoro, con un altissimo senso del dovere e dello Stato, entrato in polizia all’inizio degli anni Settanta e subito impegnato in indagini cruciali, dapprima come capo della Omicidi, poi come capo della Mobile, su alcuni delitti considerati “eccellenti” come quello dei giornalisti Mauro De Mauro e Mario Francese, del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo e del segretario provinciale della DC Michele Reina.

Sapeva districarsi nei misteri di Palermo, ma non solo; esperto nelle tecniche di indagine patrimoniale, ebbe contatti anche con l’avvocato Giorgio Ambrosoli, il liquidatore del Banco Ambrosiano e collaborò con gli inquirenti americani per approfondire le indagini sulle famiglie di Cosa nostra, investigando nel groviglio dei movimenti di capitale, tramite assegni bancari, che intercorrevano tra gli USA e la Sicilia. Grazie a questa collaborazione, del tutto nuova per quegli anni, era riuscito ad intercettare e sequestrare due valigie contenenti 500.000 dollari, all’aeroporto di Punta Raisi, a Palermo, una parte dei proventi del traffico di stupefacenti tra l’isola ed il continente americano.

Contemporaneamente, all’aeroporto Kennedy di New York, i poliziotti statunitensi avevano sequestrato un carico di eroina per un valore di dieci miliardi di lire, spedita da Palermo. Per questo e per le sue prime irruzioni nei covi dei latitanti corleonesi, che si stavano affermando sulla scena criminale e all’interno della mafia siciliana, Boris Giuliano era stato condannato a morte. Il suo omicidio è stato inserito nel fascicolo dibattimentale del Maxiprocesso di Palermo, nell’ambito del quale sono stati individuati il killer e i mandanti, processo conclusosi con numerose condanne e con la sentenza definitiva della Cassazione nel gennaio del 1992.

Alessandro Giuliano, suo figlio, già capo della Mobile a Milano, poi questore di Lucca, ed ora direttore dello SCO, cosí lo ricorda: «Ha lasciato due messaggi. A me e a tutte le nuove generazioni che fanno questo mestiere. Bisogna scegliere di fare il proprio dovere fino in fondo. E si può essere poliziotti senza dimenticarsi di essere uomini. Mio padre, Boris Giuliano, veniva chiamato “lo sceriffo buono”, definizione data dai suoi colleghi e dai giornalisti siciliani. Al suo funerale c’era tanta gente comune, centinaia e centinaia di persone. Non accadeva mai: i servitori dello Stato come lui non avevano questo consenso tra la popolazione negli anni Settanta. Come ha detto il capo della polizia, in quel periodo, c’era chi tifava a favore e chi tifava contro».