LA DATA

22 agosto 1950

LINA SENSERINI 

Ogni appassionato di tennis che si rispetti non può non conoscere Althea Gibson, la prima tennista di colore a scendere in campo in una competizione internazionale. Era il 22 agosto del 1950, al torneo di Forrest Hill. La Gibson è rimasta l’unica giocatrice di tennis afroamericana ad essere diventata la numero uno al mondo per 49 anni. Ci sono volute le sorelle Williams, affinché una tennista di colore potesse salire ancora sul tetto del modo: Serena Williams, nel 1999, è stata la prima a vincere gli U.S. Open dopo la Gibson e, nel 2000, è la volta di Venus che si è aggiudicata il trofeo di Wimbledon.

Althea Gibson era nata il 25 agosto del 1927 a Silver, un piccolo centro abitato nella Contea di Clarendon, South Carolina, in uno di quegli stati dove più forte persisteva il concetto di supremazia bianca. Era figlia di due raccoglitori di cotone che, tre anni dopo la sua nascita, si trasferirono a New York. Manco a dirlo nel quartiere di Harlem, dove la piccola Althea sperimentò cosa significava crescere in strada, sviluppando forza, resistenza, coraggio e quella grinta che l’avrebbe sempre contraddistinta, con o senza racchetta, in campo come nella vita.

Negli anni Cinquanta, quando il suo astro cominciò a salire nel firmamento dello sport, dopo anni di tornei minori e tanta gavetta, gli Stati Uniti erano ancora molto lontani dall’abbattere le barriere razziali. I negozi vietavano l’ingresso alle persone di colore, i supermercati erano separati da quelli dei bianchi, separate le classi a scuola e separati i posti sugli autobus. Nel mondo del tennis, tradizionalmente bianco, ricco e spocchioso, i giocatori di colore non sfondavano oltre i tornei di quartiere.

Ma lo sport, si sa, riesce là dove falliscono le diplomazie e le rivolte popolari, regala sogni, fa dimenticare la fame e la miseria. Ecco allora che «in the field of sports, you are more or less accepted for what you do, rather than what you are», come ebbe a dire la stessa Gibson, che nel 1957 calcò il prato di Wimbledon, vinse il prestigioso torneo e strinse la mano alla regina Elisabetta.

Il suo esordio non fu facile, benché la sua causa fosse stata pubblicamente sposata dalla tennista Alice Marble, bianca e un’altra numero uno della racchetta: gli alberghi si rifiutavano di ospitarla, la scambiavano per la donna delle pulizie, come era successo prima di lei all’ugola d’oro Billie Holliday. Per entrare in campo doveva usare gli accessi di servizio e non le era permesso utilizzare gli spogliatoi.

Proprio queste difficoltà portarono ancora di più allo scoperto la stoffa della sportiva e della combattente, cresciuta in strada. Da allora la sua carriera fu un lungo elenco di vittorie e di trofei, fino al ritiro nel 1958, all’età di 31 anni. Solo per ricordare i principali, gli Open di Francia nel 1956, gli U.S. Open nel ’57 e nel ’58, gli stessi anni in cui vinse anche il torneo di Wimbledon. È stata tra le prime dieci atlete nel “Ranking ATP” (il sistema con cui la Association of Tennis Professional stila la classifica dei migliori giocatori di tennis professionisti iscritti al circuito) dal 1956 al 1958, al primo posto per il biennio 57-58.

Una vita che è un romanzo, ricca di soddisfazioni e di primati, come ad esempio entrare dalla porta principale in un altro sport, allora per bianchi ricchi, come il golf (Tiger Woods non era ancora nato), girare un film con John Wayne e William Holden (Soldati a cavallo). E proprio come un romanzo, la sua vita è diventata un film-documentario girato da Rex Miller e uscito nel 2015.

Dieci anni dopo la morte, avvenuta nel 2003, lo United Stated Postal Service, in occasione degli U.S. Open, ha emesso un francobollo della serie Black Heritage, dedicato proprio alla grande tennista, che ha raggiunto così un altro primato, stavolta postumo: essere la prima donna nel mondo dello sport a comparire nella serie.