LA DATA

24 agosto 79 a. C.

Data tradizionale, ma errata, dell’eruzione del Vesuvio che, durata circa diciannove ore, seppellirà Pompei, Ercolano e Stabiae.

La data dell’eruzione del Vesuvio del 79 è attestata da una lettera di Plinio il giovane a Tacito, in cui si legge nonum kal. septembres, cioè nove giorni prima delle Calende di settembre, data che corrisponde al 24 agosto.

Questa data era contenuta nella variante universalmente ritenuta più attendibile del manoscritto ed è stata accettata come sicura, anche se alcuni dati archeologici via via emersi mal si accordano con una datazione estiva.

Nello scavo dell’area vesuviana, sigillati dai lapilli, sono stati ritrovati carbonizzati o tramite indagini archebotaniche resti di frutta secca (come fichi secchi, datteri, susine), frutta tipicamente autunnale (come ad esempio melograni rinvenuti a Oplontis, castagne, uva, noci), si era completata la raccolta della canapa da semina (raccolta che si effettuava solitamente a settembre), la vendemmia (effettuata solitamente nel periodo di settembre e ottobre) era da tempo terminata e il mosto era stato sigillato nelle anfore (i dolea, dogli o vasi a forma tondeggiante nei quale i romani conservavano derrate liquide, come olio e vino, o secche, come grano e legumi) e interrato, come riscontrato a Villa Regina (Boscoreale), oltre ad essere posti in uso nelle case oggetti tipicamente autunnali come bracieri nella Casa di Menandro.

Tali anfore venivano chiuse soltanto dopo un periodo di fermentazione all’aria aperta della durata di una decina di giorni: dunque l’eruzione avvenne, se si considera attendibile questo elemento d’indagine, in un periodo successivo. Anche nel caso di una vendemmia anticipata, i giorni intercorsi tra la raccolta, la pigiatura e la prima fermentazione consentono di spostare la data avanti con una certa sicurezza.

Questi motivi portarono Carlo Maria Rosini, appassionato napoletano, già nel Settecento, ad avanzare l’ipotesi che il testo pliniano fosse sbagliato. Esso recita:

«Nonum kal. septembres hora fere septima mater mea indicat ei apparere nubem inusitata et magnitudine et specie»

Tradotto in italiano: «Il nono giorno prima delle calende di settembre, verso l’ora settima, mia madre gli mostra una nube inconsueta sia per forma che per grandezza».

(Gaius Plinius Caecilius Saecundus, Epistularum liber VI, 16, C. Plinius Tacito Suo S., testo completo su Wikisource latina).

Rosini propendeva, diversamente, per la data riportata da Cassio Dione Cocceiano: non kal. dec., cioè nove giorni dalle calende di dicembre, ovvero il 23 novembre, che meglio si accordava con i dati archeologici. Tale ipotesi fu però respinta, all’epoca, e si continuò a considerare come esatta la data del 24 agosto.

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