LA DATA

25 luglio 1943

Il 25 luglio del 1943 il Gran Consiglio vota a favore dell’ordine del giorno presentato da Dino Grandi, sfiduciando, di fatto, Benito Mussolini. È il primo atto della caduta del fascismo.

L’unica foto esistente della seduta del Gran Consiglio del Fascismo, tenutosi il 25 luglio del 1943.

Come si legge nell’ordine del giorno, viene esplicitamente richiesto al capo dello stato di restituire al re le sue funzioni: «È necessario l’immediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali».

Mussolini, nel suo discorso introduttivo, richiama il consiglio alla fedeltà al Patto d’Acciaio con la Germania di Hitler: «Ora il problema si pone. Guerra o pace? Resa a discrezione o resistenza a oltranza?… Dichiaro nettamente che l’Inghilterra non fa la guerra al fascismo, ma all’Italia. L’Inghilterra vuole un secolo innanzi a sé, per assicurarsi i suoi cinque pasti. Vuole occupare l’Italia, tenerla occupata. E poi noi siamo legati ai patti. Pacta sunt servanda».

Il conte Galeazzo Ciano, ministro degli esteri e genero di Mussolini, in difesa dell’ordine del giorno, così replicò al duce: «Pacta sunt servanda? Si, certamente: però, quando vi sia un minimo di lealtà anche dall’altra parte. Ed invece, noi italiani abbiam sempre osservato i patti, i tedeschi mai. Insomma, la nostra lealtà non fu mai contraccambiata. Noi non saremmo, in ogni caso, dei traditori ma dei traditi».

Carlo Scorza, invece, manifestò la sua fedeltà al capo supremo, invitò i consiglieri a non votare la mozione di Grandi e presentò un proprio ordine del giorno a favore di Mussolini, il quale, con un atteggiamento che a molti apparve passivo, diede inizio alle operazioni di voto. Farinacci uscì dalla sala per non votare, 19 furono i voti a favore, 7 i contrari e uno si astenne.

La riunione, iniziata alle dieci di quella sera, terminò alle due e quaranta di quella notte. Mussolini, il giorno dopo si reca dal re e questi lo fa arrestare all’uscita del colloquio. La caduta della ventennale dittatura, dell’uomo che aveva ispirato Hitler, era appena cominciata. Non erano però finite le sofferenze per la gente d’Italia, affamata dai razionamenti, colpita dai bombardamenti, privata della libertà: «La guerra continua», ovunque queste tre parole del proclama di Badoglio, nominato capo del governo dal re, seminavano una fosca inquietudine, pur tra le tante manifestazioni di giubilo che stavano avvenendo nel sempre più martoriato Paese.