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27 aprile ‘37, muore Gramsci: ecco il suo unico discorso alla Camera       

All’alba del 27 aprile 1937 Antonio Gramsci moriva a Roma, in una clinica dov’era stato ricoverato per le gravissime condizioni di salute dovute ai tragici patimenti nelle carceri fasciste. Aveva appena quarantasette anni. Benché protetto dall’immunità parlamentare, era stato arrestato dodici anni prima, nel novembre del ’26, e condannato il 4 giugno ‘28 dal tribunale speciale del regime, al termine del processone contro i fondatori del Pcd’I, a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni di galera. Il Pm, in divisa fascista, aveva concluso la sua arringa accusatrice con queste parole: «Noi dobbiamo impedire per vent’anni a questo cervello di funzionare!». I giudici erano andati oltre. Meno di un anno prima dell’arresto Gramsci aveva pronunciato alla Camera il suo primo ma anche unico discorso: contro la legge che, con il pretesto di colpire la massoneria (che invece «passerà in massa al partito fascista e ne costituirà una tendenza», preconizza in quel discorso il futuro autore dei Quaderni), mirava a mettere a tacere ben altre società segrete, e segreta era già in pratica l’attività dei comunisti.

Il discorso – ripubblicarne i passaggi più rilevanti crediamo sia un modo significativo, per ricordare l’anniversario della scomparsa del grande politico e sommo intellettuale – è importante per vari aspetti. Intanto perché dà il segnale plastico della decisione (isolata) dei comunisti di interrompere la protesta aventiniana promossa dalle opposizioni in seguito all’assassinio (10 giugno ’24) del socialista Giacomo Matteotti: basta con l’Aventino – avevano deciso –, e anzi serviamoci del Parlamento per dare nuovo slancio alla lotta contro Mussolini. E, ancora, perché il ritorno nell’aula di Montecitorio dei deputati comunisti, le energiche iniziative del loro piccolo gruppo (erano appena diciannove) contro l’arroganza degli avversari tornati all’attacco, dopo il clamore suscitato dal criminale agguato all’esponente socialista, avrebbero dato nuova ancorché precaria linfa al movimento antifascista. Infine perché, con quel suo intervento di denuncia e di sfida – dirà Nilde Iotti nella solenne commemorazione per il 50. della scomparsa di Gramsci – questi si rivela figura di primissimo piano a molti che sino ad allora non lo conoscevano o ne avevano saputo nulla: si diffonde così l’interesse per l’uomo che rappresenta il centro intellettuale e propulsivo del partito.

Così che “Nino” viene a identificarsi con qualcosa di molto più profondo che non il protagonista di una iniziativa politico-parlamentare quando interviene dal suo banco, a Montecitorio. C’è la riprova in una lettera scritta alla lontana moglie Julka pochi giorni dopo il discorso: «I fascisti (lo vedremo subito, dopo questa lunga digressione, ndr) mi hanno fatto un trattamento di favore, e quindi, dal punto di vista rivoluzionario, ho incominciato con un insuccesso». Perché insuccesso? «Poiché ho la voce bassa, si sono riuniti intorno a me per ascoltarmi e [mi hanno] lasciato dire quel che volevo, ma interrompendomi continuamente solo per cercare di farmi deviare il filo del discorso. Non seppi trattenermi dal rispondere e ciò fece il loro gioco perché mi stancai e non riuscii più a seguire l’impostazione che avevo pensato di dare al mio intervento». Niente vero. Intanto Gramsci era riuscito a rivendicare (anche in trasparente polemica con altri settori della sinistra) che i comunisti erano già allora «tra i pochi che abbiano preso sul serio il fascismo…»

Gramsci: «…Anche quando sembrava che fosse solo una farsa sanguinosa, anche quando intorno al fascismo si ripetevano solo i luoghi comuni sulla “psicosi di guerra” (…) Noi pensiamo che questa fase della “conquista fascista” sia una delle più importanti dello Stato unitario. Il fascismo dunque come erede delle forme più retrive cui lo stato liberale non tardò a indirizzare la propria eredità del Risorgimento. La rivoluzione fascista è solo la sostituzione di un personale ad un altro…»

Mussolini reagisce: «…Di una classe ad un’altra! Com’è avvenuto in Russia, come avviene normalmente in tutte le rivoluzioni! Come noi faremo metodicamente!»

Gramsci lo rimbecca: «È rivoluzione solo quella che si basa su una nuova classe. E il fascismo non si basa su nessuna classe che non sia già al potere. Il programma è sul “Corriere della Sera”, una forza non indifferente nella politica nazionale con i suoi ottocentomila lettori..»

Mussolini: «La metà! E poi i giornali non contano. I lettori dei giornali hanno regolarmente torto!»

Le interruzioni si moltiplicano quando Gramsci affronta il nodo del Mezzogiorno – per lui così importante da averci scritto sopra, prima dell’arresto, un saggio memorabile – e delle enormi risorse che attraverso una imposizione feroce «lo Stato estorce alle regioni meridionali per dare una base al capitalismo dell’Italia settentrionale». Altro che capitalismo sviluppato, sembra dire il leninista Gramsci riferendosi al meridionalismo nordico del “Corriere” di Luigi Albertini (fatto fuori da direttore, di lì a sei mesi, per ordine di Mussolini) come pure a quel che maturava nel Sud: sul “Mondo” di due settimane prima era uscito il Manifesto crociano degli intellettuali antifascisti.

Mussolini: «Il Partito comunista ha meno iscritti del partito fascista!» Gramsci : «Ma rappresenta la classe operaia!»

Farinacci: «La tradisce, non la rappresenta!» (Il gerarca sarà fucilato dai partigiani il 28 aprile ’45)

Gramsci: «Il vostro è un consenso ottenuto col bastone».

Col pretesto di difendere il diritto di parola di Gramsci, il presidente della Camera lo bacchetta: «Non interrompano! Lei però, onorevole Gramsci, non ha ancora parlato della legge che si discute!» (al momento è presidente della Camera Antonio Casertano, un oscuro ma fedelissimo di Mussolini che aveva fatto carriera proprio in una loggia massonica di Napoli!) E le interruzioni comunque continuano.

Rossoni: «La legge non è contro le organizzazioni!» (Questo gerarca sarà condannato a morte dal tribunale speciale repubblichino come traditore della causa, poi, caduto il fascismo, all’ergastolo da una corte d’assise, ma riuscirà a scappare in Canada con l’aiuto delle gerarchie vaticane e vestito da prete. Non scontò galera.)

Gramsci: «Onorevole Rossoni, ella stesso è un comma della legge contro le organizzazioni! I cittadini devono sapere a che cosa lavorate. Sia chiaro: voi assorbirete la massoneria, che è il pretesto di questa legge. Essa passerà in massa al partito fascista. Con questa legge voi volete impedire lo sviluppo delle grandi organizzazioni operaie e contadina: l’apparato dello Stato considera già il partito comunista una organizzazione segreta».

Mussolini: «Non è vero!»

Gramsci: «Vero. Si arresta senza alcuna imputazione specifica chiunque sia trovato in una riunione di tre persone, solo perché comunista, e lo si butta in carcere! Il partito comunista rappresenta le classi operaie».

Presidente: «Onorevole Gramsci, questo concetto lo ha ripetuto tre o quattro volte…»

Gramsci: «Bisogna ripeterlo, invece. Bisogna che lo sentiate sino alla nausea [interruzioni, rumori che impediscono allo stenografo di registrare le prime parole della frase successiva]…e vincerà il fascismo [rumori, commenti, grida].

Il resoconto stenografico s’interrompe qui. A Gramsci è impedito di concludere. Il novembre dell’anno dopo il deputato Antonio Gramsci, appena rientrato a casa da Montecitorio e dunque ancora protetto dall’immunità parlamentare, viene arrestato e rinchiuso in carcere. Ne uscirà solo per morire.