IL NUMERO

370

370 anni. È questa l’età di un magnifico albero di quercia della Val d’Orcia, in provincia di Siena, che si chiama Quercia delle Checche. L’albero è anche conosciuto come Quercia delle Streghe, perché pare che in passato fosse un luogo d’appuntamento per le streghe che si riunivano per i sabba; di certo dopo l’8 settembre del 1943 divenne luogo d’incontro dei partigiani locali, che pare vi nascondessero le armi.

Quest’albero monumentale, alto più di trenta metri e largo quaranta, con una circonferenza di sei metri, ne ha viste nei secoli di tutti i colori, ed è fra i cento alberi più antichi d’Italia. Come tutti gli alberi di quell’elenco, ha bisogno di uno speciale occhio di riguardo, di tutela e di cure attente e puntuali.

Nell’agosto del 2014 un gruppo di vandali, salendoci sopra, ha procurato la caduta di un grande ramo; da allora la quercia è protetta da un gruppo di agguerriti sostenitori, che vigilano sulla sua sorte e si occupano di pungolare le istituzioni perché agiscano in sua tutela con tempi adatti ai suoi bisogni, tempi peraltro assai diversi da quelli della pubblica amministrazione.

A giugno 2017 la storica quercia della Val d’Orcia ha ottenuto la tutela del Mibact, diventando il primo monumento verde d’Italia, ma solo due mesi più tardi ha perduto un altro grande ramo, a causa della siccità e della mancanza delle puntellature necessarie alla sua stabilità. A settembre di quest’anno il Comune di Pienza, proprietario dell’albero, ha avviato le operazioni per garantire a questa storica anima del paesaggio valdorciano le cure necessarie, sempre sotto il pungolo costante del comitato SOS Quercia delle Checche.

Un pungolo non solo evidentemente necessario, ma diventato un punto di partenza per una nuova dialettica fra chi amministra e gestisce il territorio e chi lo abita: «Da una parte l’idea che debba essere solo la politica, con i suoi tempi, i suoi riti e le sue improvvisazioni, a gestire il territorio (e tutto il resto è ambientalismo intellettuale…). Dall’altra i cittadini attivisti che ritengono che il paesaggio abbia senso, bellezza e verità solo se è legato ai progetti di vita e di arte. E che non è accettabile che le comunità locali vengano relegate a terziario turistico, in una visione piatta e spettacolarizzata, in cui silenziosamente vivere nell’autentico falso da rivendere ai visitatori. Interessante conflitto culturale. Ma che cos’è il conflitto in tempi di disimpegno e torpore civili? Non occorre aver paura delle parole. Il conflitto dialetticamente e culturalmente è utile, necessario, è il momento alto in cui il confronto tra posizioni totalmente diverse può esercitarsi per il bene di tutti. Senza conflitto prevarrà la rassegnazione e il consenso. Per questo è necessario agire nel conflitto».

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