LA DATA

6 agosto 1965

Il 6 agosto 1965, dopo anni di lotte, scontri, sacrifici e morti per affermare i diritti civili delle minoranze, il presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson firmava il rivoluzionario Voting Rights Act, ovvero la legge che garantiva il diritto di voto per tutti i cittadini americani, quindi anche per le minoranze etniche e razziali: afroamericani, ispanici, asiatici, i nativi americani. Era passato un secolo esatto dalla fine della Guerra di Secessione e dalla presidenza di Abraham Lincoln, che aveva abolito la schiavitù e messo contestualmente fine all’abominio della tratta degli schiavi neri. Ma, ancora, lo strumento fondante della democrazia, il diritto di voto, pur essendo sancito dal XV Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, veniva sistematicamente violato negli Stati del sud tramite leggi e pratiche discriminatorie. Ad esempio i test di alfabetizzazione, arbitrariamente utilizzati per valutare i prerequisiti necessari alla registrazione nelle liste elettorali e uno dei metodi più praticati per impedire il voto alle persone di colore.

Gli scontri di Selma (foto AP)

La battaglia che aveva portato alla definitiva approvazione della legge era stata portata avanti soprattutto da Martin Luther King ed era stata preceduta da manifestazioni e proteste, in qualche caso duramente represse, come quella di Selma, il 7 marzo 1965, che ne accelerò l’iter e la firma, avvenuta alla presenza dello stesso Martin Luther King. Prendeva vita, così, un Atto storico che proibiva la discriminazione in campo elettorale consentendo a milioni di neri del Sud, fino a quel momento esclusi di fatto dal voto, di esprimere le proprie preferenze politiche per la prima volta nella loro vita e nella storia. E consentendo anche alle minoranze di tutto il paese di partecipare alla vita democratica in maniera attiva.

Il Voting Rights Act, infatti, tra le altre cose vietava in ogni Stato pratiche e procedure di inquinamento del diritto di voto e bandiva i famigerati test di alfabetizzazione. Inoltre, prevedeva che nove Stati (Alabama, Alaska, Arizona, Georgia, Louisiana, Mississippi, South Carolina, Texas e Virginia) scelti sulla base di una lunga storia di discriminazione delle minoranze, ottenessero il permesso del Dipartimento di Giustizia prima di introdurre qualsiasi cambiamento alle loro leggi elettorali. Nel 2013, tuttavia, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha abolito questa sezione-pilastro della legge, ritenendo che le condizioni rispetto a 50 anni fa fossero superate e che dovessero essere individuate «altre formule sulla base delle circostanze attuali», hanno decretato i 5 giudici conservatori che hanno votato il provvedimento (vedi qui).

Resta inalterata l’importanza rivoluzionaria di questa legge, grazie alla quale il numero degli elettori di colore negli stati del Sud, nei dieci anni successivi alla sua approvazione, raddoppiò, così come quello degli eletti afroamericani, aprendo la strada al lungo cammino di integrazione e cambiamento, che 44 anni dopo avrebbe portato all’elezione di Barack Obama, il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti.

Sorge spontanea la domanda, di come sia stato possibile 52 anni dopo, eleggere Donald Trump.