Era molto popolare, amatissimo, giovane e brillante. Non aveva vinto molto, ma era già nel cuore dei tifosi della Ferrari per il suo stile di guida altamente spettacolare, agguerrito e aggressivo, che lasciava presagire futuri, grandi successi. E purtroppo l’8 maggio 1982, Gilles Villeneuve è entrato nella leggenda come uno dei più grandi piloti di tutti i tempi, pur senza aver mai conquistato un mondiale di F1.
Morì all’ospedale di Lovanio, in Belgio, in conseguenza del terribile schianto a quasi 230 chilometri orari, nel circuito di Zolder, dove stava effettuando le qualifiche per il Gran Premio del Belgio.
Come raccontano le cronache di quel giorno, la sua Ferrari 126 C2 toccò, in curva, il pilota tedesco Jochen Mass. «La ruota anteriore sinistra della monoposto del canadese, molto più veloce, ha centrato la posteriore destra della March. La rossa è decollata davvero, poi cadendo ha sbattuto contro il guard rail. Villeneuve è stato sbalzato fuori, con il seggiolino ancora attaccato alla schiena. Nelle immagini televisive lo si intravede volare e precipitare su un paletto che sostiene una rete di protezione. L’impatto provoca un distacco netto fra prima e seconda vertebra cervicale. Nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale, Gilles viene tenuto in vita grazie a stimolazioni elettriche al cuore». Fino alle 21.12, quando venne deciso di spegnere le macchine.
Le immagini della Ferrari che si solleva in aria, il pilota nella sua tuta argentata sbalzato fuori, che vola e si abbatte sulla recinzione, il corpo immobile e la corsa inutile dei soccorsi, sono rimaste indelebili nella memoria degli appassionati di automobilismo. Insieme agli spericolati sorpassi, alle manovre ai limiti dell’impossibile, alla rivalità e allo scontro con il compagno di squadra Didier Pironi, vittima anche lui di un grave incidente tre mesi dopo la morte del pilota canadese, durante le prove del Gran Premio di Germania, che gli costò il ritiro dalla Formula 1. Villeneuve poteva risultare a volte antipatico e arrogante, irruento e volitivo. Sua la celebre frase «Se mi vogliono sono così, di certo non posso cambiare: perché io, di sentire i cavalli che mi spingono la schiena ne ho bisogno come dell’aria che respiro». Eppure il suo sorriso abbozzato, l’aria irriverente dentro la monoposto rossa, è una delle immagini più viste e utilizzate nei poster, in tutto il mondo.
Più di lui, per gli appassionati di automobilismo e dello sport in genere, solo l’indimenticabile Ayrton Senna, considerato il più grande di tutti i tempi, consegnato alla storia dalla morte in pista, nel 1994 a Imola durante il Gran Premio di San Marino, vinto da Michael Shumacher a bordo della Benetton.
«Quello che è successo è talmente drammatico e triste che non provo alcuna soddisfazione per aver vinto», fu il commento del grandissimo campione tedesco, anche lui atteso da un destino beffardo sulle nevi di Meribel in Svizzera, nel 2013.