LA DATA MEMORIE

9 maggio 1978

«Mia dolcissima Noretta, dopo un momento di esilissimo ottimismo, dovuto forse ad un mio equivoco circa quel che mi si veniva dicendo, siamo ormai, credo, al momento conclusivo (…)».

Inizia con queste parole l’ultima celebre e straziante lettera scritta da Aldo Moro alla moglie, Eleonora Chiavarelli, pochi giorni prima che le Brigate Rosse facessero ritrovare il cadavere dello statista in via Caetani, a Roma.

Era il 9 maggio 1978. Il portabagagli di una Renault 4 rossa fu l’epilogo dei 55 giorni di prigionia di Moro e di uno degli avvenimenti più drammatici, discussi, e mai del tutto chiariti, della storia dell’Italia repubblicana. Il 9 maggio è anche la giornata della memoria, istituita dal Parlamento nel 2007, per ricordare Moro, i cinque uomini della scorta uccisi durante l’assalto dei rapitori, il 16 marzo, in via Fani, e tutte le vittime del terrorismo.

Sul “Caso Moro”, come venne definito l’insieme delle vicende (l’agguato, il sequestro, la prigionia, l’uccisione) e delle ipotesi formulate nei decenni successivi sulle ricostruzioni degli eventi, spesso discordanti tra loro, sono state scritte migliaia di pagine, è stata istituita una Commissione parlamentare bicamerale, si sono svolte centinaia di ore di dibattiti pubblici, sono stati fatti film e spettacoli teatrali, sono stati pubblicati libri, fra cui L’affaire Moro, scritto a caldo da Leonardo Sciascia nel 1978.

Quello che è indubbio è che l’assassinio dello statista decretò la fine definitiva della stagione del Compromesso storico e dei governi di solidarietà nazionale.

Qui è sufficiente il ricordo, anche quello di una bimba di 12 anni – quella che adesso sta scrivendo – che guardava su una vecchia Telefunken in bianco e nero le immagini dei morti di via Fani e del ritrovamento di Moro. E aveva paura.

Non sapeva bene di cosa avesse paura, ma le parole “terroristi”, “brigatisti”, “agguato”, “rapimento” di cui non riusciva a captare bene il significato, risuonavano sinistre, la inquietavano e la spaventavano. E siccome era curiosa, ascoltava i telegiornali che giorno dopo giorno riportavano la cronaca delle false segnalazioni, dei falsi allarmi, delle false piste, dell’impotenza dello Stato e dei servizi segreti americani, incapaci di ritrovare uno dei suoi massimi rappresentanti. O forse della mancanza di una reale volontà di farlo, se, come scrisse Moro concludendo l’ultima lettera alla moglie, «tutto è inutile, quando non si vuole aprire la porta».

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