LA PAROLA

Biasanòt

Come chiamate, dalle vostre parti, chi fa le ore piccole? A Bologna il nottambulo è il Biasanòt (c’è chi lo scrive anche con due s), letteralmente il “mastica notte”. Il tiratardi, colui che non vuole mai andare a dormire e che pur di rimandare l’appuntamento con la “branda” (letto: come si dice nel vostro dialetto?) trova mille scuse e cose da fare, a Bologna storicamente si ritrovava al ristorante Lamma per l’ultimo bicchiere, prima di rincasare andava a comperare il Resto del Carlino in via dei Mille e anticipava la colazione con un bombolone caldo in via del Pratello.  Il Biasanòt era una figura mitica degli anni Settanta a Bologna, quando giovani (e anche anziani) giravano tranquillamente senza ansie o paure. Le osteria di fuori porta, vissute e cantate da Francesco Guccini, erano sempre piene, chi aveva voglia di farsi un giro prendeva l’auto e andava all’autogrill del Cantagallo, sull’autostrada per Firenze.

La musica, le carte e il vino – non necessariamente in quest’ordine – erano i passatempo del Biasanòt. Ma la vera anima del tiratardi – bolognese doc, fuorisede universitario, lavoratore o visitatori che fosse – era la giovialità, la voglia di stare insieme, chiacchierare, socializzare senza distinzioni di età, di ceto o di classe sociale. La vera “rivoluzione democratica” nella città rossa per antonomasia.

Luigi Lepri (Gigén Lîvra), uno dei più noti cultori e studiosi della lingua bolognese, che da anni porta avanti un grosso lavoro di divulgazione e conoscenza del dialetto attraverso articoli, conferenze, corsi, nonché come autore di numerosi volumi tra cui il Dizionario Bolognese-Italiano Italiano-Bolognese, interpellato a proposito del Biasanòt cita un’efficace interpretazione di Angelo Caparrini, petroniano verace del vecchio Borgo San Pietro, che l’ha felicemente definito così: «L é ón ch’ai piès ed titèr la nòt (è uno al quale piace poppare la notte)». Il significato è chiarito dall’espressione dialettale al pèr ch’al tatta (sembra che stia poppando), riferita a un soggetto in stato di beata tranquillità, come quello dei neonati quando succhiano il latte.

Tra i più conosciuti tra gli studiosi del “biassanottismo” Paolo A. Cavagnoli: «I Biasanòt sono selvatici come i gatti selvatici e migrano come i piccioni, hanno una specie di olfatto particolare che li porta per la città a solcare le vie come fanno i tonni quando arriva la primavera e non ci capiscono più un fico e allora nuotano in su per arrivare in un posto che sanno solo per istinto (…) Poi ad un certo punto della loro esistenza scompaiono, ma non si sa dove vanno a morire (…) È certo che il loro numero si sta fortemente riducendo. Forse non riescono più a trovare l’habitat naturale per fare le tane e ripopolare, hanno bisogno di tane molto confortevoli e silenziose. C’è il rischio che si estinguano se si va avanti così (…) Forse dovremmo rimboschire un po’».

Già, una popolazione in via d’estinzione oggi i  Biasanòt.  Saranno i tempi che cambiano, Bologna  non è più quella di una volta, non ci sono più le mezze stagioni e così via… Sta di fatto che i nottambuli, purtroppo, sono sempre più spesso piromani, grafomani e fracassoni.

All’Osteria da Vito, dove Guccini, Dalla, Ron e compagnia cantante, tiravano mattina, la raccontano così: «Le notti bolognesi sono radicalmente cambiate. Bologna è deserta. Lo è perché sono deserti i bolognesi. I Biasanòt non ci sono più. Guardando le vecchie fotografie troviamo Guccini, Vecchioni, De Gregori, Dalla e la Nannini che cantavano in osteria. Oggi arriverebbe il 113 in pochi minuti se si improvvisassero un concerto. Non diciamo che sia meglio o peggio, è solo un modo di vivere diverso rispetto al passato. Vivere la notte oggi è anche costoso: una volta no. C’era tolleranza e partecipazione, oggi vale la metafora della discarica: a tutti serve ma nessuno la vuole sotto casa. Così con la vitalità notturna, basti pensare al Pratello e alla zona Universitaria. Fino alla fine degli anni ’60 a Bologna c’erano almeno una quarantina di posti per ballare  adesso ce ne sono pochissimi e quelli che ci sono propinano decibel talmente alti che ne va della socializzazione fra le persone. Ma le cose non possono mica restare sempre le stesse, altrimenti si girerebbe ancora a cavallo. Certo è che un tempo, se una signora affittava un appartamento a un universitario e notava cose strane, allora si preoccupava di chiamare i suoi genitori e li metteva in allerta, oggi ci si preoccupa solo della rata dell’affitto e non ci si conosce neanche. E non dimentichiamo che questo periodo storico è spietato, la crisi sta mettendo la gente in ginocchio»

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