LA PAROLA

Border

Border è un termine inglese che si traduce come “confine” ma anche come “frontiera”. Recentemente salito agli onori delle cronache grazie alla Brexit, rischia di diventare il casus belli dell’’Europa Occidentale. Stiamo parlando dell’’istituzione di un nuovo confine tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica  d’Irlanda, conseguenza inevitabile dell’’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. Questione estremamente complessa considerando che si tratta dell’unico confine terrestre tra Regno Unito e Unione Europea. Insomma, una vera e propria polveriera nel cuore dell’Europa, la cui miccia potrebbe prendere fuoco da un momento all’altro.

A gettare benzina sul fuoco, le recenti dichiarazioni di Philip Rutman, segretario  di stato permanente presso l’Home Office (Ministero degli Interni inglese) che ha ventilato l’ipotesi dell’invio di truppe da parte di Londra, a controllare i confini tra le due Irlande. Ipotesi che ha suscitato da una parte, l’entusiasmo dello zoccolo duro dei conservatori inglesi favorevoli all’istituzione di un hard border, con tanto di barriere doganali e controllo viaggiatori, e dall’altra, la reazione irritata dei partiti indipendentisti irlandesi, Sinn Fein in testa. Il rischio è di mandare in fumo gli accordi di pace tra Irlanda del Nord e governo inglese, sanciti nel 1998 dal Good Friday Agreement.

La storia del border irlandese è lunga e tormentata. Istituito nel 1921, quando l’Eire ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna dopo decenni di guerre senza quartiere, è stato appunto abolito nel 1998, segnando così la fine dei Troubles, il conflitto che si era riacceso alla fine degli anni 60 e che ha visto da una parte, l’Irish Republican Army (Ira) e, dall’altra, l’esercito inglese inviato a ristabilire lo status quo, e gli squadroni protestanti filo britannici.

Oggi, la reintroduzione di un hard border avrebbe conseguenze devastanti, soprattutto per l’Irlanda del Nord la cui economia si basa soprattutto sulla produzione agricola e sull’esportazione di prodotti sul mercato europeo. Nel frattempo, si troverebbe decurtata dei sussidi europei di cui ha estremamente bisogno. Di contro, la soluzione proposta dalla premier inglese Theresa May, di un soft border tecnologicamente diretto, risulterebbe costosa e difficile da gestire. Condizione quest’ultima, avvalorata anche dai funzionari del governo di Dublino che sostengono che una frontiera post Brexit avrebbe bisogno di ben otto confini doganali (data la particolare condizione geografica del territorio) e che un confine aperto sarebbe impossibile da mantenere senza nessun tipo di accordo tra le due parti.

Gli indipendentisti di Sinn Fein, invece, propongono uno status speciale che consenta all’Irlanda del Nord di rimanere nel mercato unico europeo, con libera circolazione di merci e persone.  Rispettando così il volere degli elettori nordirlandesi che avevano votato compatti per il remain.

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