LA PAROLA

Cammino

Divagazioni sul Camminare

«Un lungo viaggio inizia con un passo»: il primo, il più importante, perché senza quello non ce ne saranno altri. Il magico simbolo del distacco…

«Soltanto solo, sperduto, muto, a piedi, riesco a riconoscere le cose», Pier Paolo Pasolini.

Sia subito chiaro! «Camminare non è uno sport», ma il desiderio di riscoprire con il corpo il mondo fisico attraverso un’azione, un aprirsi, un alleggerire i propri pesi. Prevede quella che qualcuno ha definito una lieta umiltà davanti al mondo. D.H. Lawrence (saggista e drammaturgo inglese) sosteneva che «la casa dell’anima non è in Paradiso, ma nella strada aperta. L’unica cosa da fare è mettersi liberamente in cammino. Il viaggiare per una strada aperta, esposti a ogni contatto, incontrando chiunque venga per via, accompagnandosi a coloro che sono sospinti nello stesso senso, senza scopo, su due lenti piedi, per la strada aperta».

È la riconquista del tempo, il tempo torna ad appartenerti ed ecco che camminare diventa un atto rivoluzionario come per il Gesù di Christian Bobin (scrittore e poeta francese): «va qui e poi là. Trascorre la propria vita su sessanta chilometri di lunghezza e trenta di larghezza. E cammina. Senza sosta. Si direbbe che il riposo gli sia vietato. Quello che si sa di lui lo si deve a un libro. Se avessimo un orecchio un po’ più fine potremmo fare a meno di quel libro e ricevere sue notizie ascoltando il canto dei granelli di sabbia sollevati dai suoi piedi nudi. Se ne va a capo scoperto. La morte, il vento, l’ingiuria: tutto riceve in faccia, senza mai rallentare il passo. Si direbbe che ciò che lo tormenta è nulla rispetto a ciò che egli spera. Che la morte è nulla più di un vento di sabbia. Che vivere è come il suo cammino: senza fine. L’uomo che cammina è quel folle che pensa che si possa assaporare una vita così abbondante da inghiottire perfino la morte».

I mille volti del Camminare 

Aristotele insegnava camminando, Socrate discuteva di filosofia con gli stoici…camminando. C’è anche un cammino omeopatico che trasforma il veleno in medicina: secondo un’usanza eschimese, si può sfogare la collera camminando in linea retta nel paesaggio; il punto in cui la collera è stata dominata, segnato da un bastone, testimonia la forza o la portata del turbamento.

Camminare a volte coincide con la protesta: la Marcia di Ghandi nel 1930, le marce per i diritti civili di Martin Luther King, le Madri di Plaza de Majo o la Pellegrina della Pace americana che nel 1953 fece voto di continuare a camminare finché il genere umano non avesse imparato la via della pace e che camminò per 28 anni.

A volte camminare è un gesto politico di amore: Sébastien de Fooz, che in A piedi a Gerusalemme, 184 giorni, 184 volti ha raccontato il suo viaggio a piedi per sei mesi da Gand, nelle Fiandre, fino alla Città Santa attraversando 13 paesi con uno zaino e cinquanta euro in tasca per depositare, in una breccia nel Muro del Pianto, un sasso raccolto nel lager nazista di Dachau;  Werner Herzog, il regista, intraprese un viaggio a piedi nell’inverno 1974 per recarsi da Monaco a Parigi, dove lo aspettava un’amica malata, Lotte Eisner, storica e studiosa del cinema tedesco. Una testimonianza d’affetto che avrebbe dovuto contribuire a tenere in vita una persona cara.

Spesso è un atto di fede. I musulmani vanno alla Mecca perché questo è uno dei cinque pilastri delle regole del Corano; nel buddhismo Vipassana camminare è uno dei quattro modi di meditare; nel cammino cristiano del pellegrino il potere taumaturgico è già nel percorso e la mèta è liberazione, appagamento. Raggiunta Santiago de Compostela si prosegue verso Finis Terrae dove si bruciano i vecchi abiti con cui abbiamo camminato. È una nuova libertà, una nuova leggerezza… leggerezza.

«Perché leggerezza non è superficialità ma è planare sulle cose dall’alto, senza macigni sul cuore», Italo Calvino.

Oppure è il cammino iniziatico delle fiabe. Non esiste fiaba senza cammino. Le fiabe non conoscono né il tempo, «c’era una volta», né lo spazio, «…e cammina, cammina». Una cosa è certa, tutti camminano nelle fiabe!  Alice nel Paese delle Meraviglie, Hänsel e Gretel, Pinocchio. È il Cammino iniziatico, il passaggio dall’infanzia all’età adulta è «L’importanza di perdersi nel Bosco»: Pollicino che viene abbandonato nel bosco, Cappuccetto Rosso che deve attraversare il bosco da sola, la fuga nel bosco di Biancaneve. Fiabe terribili con orchi assassini «Ucci ucci / qui c’è puzza di cristianucci / o ce n’è o ce n’è stati/ o ce n’è di rimpiattati…». Ma vi siete mai soffermati sulla trama di Hänsel e Gretel? È piena zeppa di reati perseguibili penalmente. Dall’abbandono di minori, al sequestro, dal tentato omicidio, all’omicidio vero e proprio, al furto. Eppure le fiabe aiutano a crescere, ci sono tutti gli ingredienti: il cammino, le prove, il ritorno, il premio. Quindi leggete le fiabe ai vostri figli o nipoti, perché come ebbe a dire il grande drammaturgo Gilbert K. Chesterton «Le fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono, loro lo sanno già. Le fiabe insegnano ai bambini che i draghi si possono sconfiggere».

La teoria economica del Camminare

David Henry Thoreau, strano filosofo che nel 1845 si costruisce con le proprie mani una capanna nella foresta dove vivrà per due anni in completa solitudine, camminando, leggendo, scrivendo. Si può definirlo un vero e proprio Atto Filosofico, ma Thoreau era anche un militante contro la schiavitù e da questa sua militanza nacque l’opuscolo politico Disobbedienza civile. Ma torniamo nella foresta dove, immerso in questa atmosfera, sviluppa una sua teoria per una Nuova Economia. Thoreau vede crescere quell’età del capitalismo e dello sfruttamento industriale di cui presagisce la corsa al profitto e al saccheggio della Natura concepita come fonte di guadagni, si tratta quindi di distinguere il Profitto dal Beneficio. «Quale Profitto traggo da una lunga passeggiata nel bosco? Nessuno: non si è prodotto nulla che potrei rivendere, nessun servizio che possa fruttarmi, ovvero, in termini economici tradizionali è tempo perso, sprecato, senza produzione di ricchezze. Eppure, per me, per la mia vita, il Beneficio è immenso: un lungo momento in cui sono stato sulla verticale di me stesso, senza essere stato pervaso da crucci effimeri, in cui la Natura mi ha dato senza lesinare. In sintesi, la marcia sarà stata per me più benefica che poco proficua. La differenza fra il profitto e il beneficio è che le operazioni che permettono il profitto potrebbero essere fatte da un altro al posto mio: sarebbe lui a trarne vantaggio. Da qui il principio della concorrenza. Ciò che è benefico per me dipende per contro da gesti, atti, momenti di vita che mi è impossibile delegare».

Ci fermiamo qui, ma la dissertazione economica del camminare di Thoreau potrebbe tranquillamente fare il paio col Capitale di Marx: il Capitale con gli scarponi da montagna…

Di divagazione in divagazione

Ecco l’esperienza del Cammino di due giovani: Giulia e Filippo. A fine esperienza, Giulia ha pensato di raccontarla sul web con divertimento e sentimento. L’ha chiamata «Ma perché tutta sta fatica?»

«Siete arrivati in un mondo che ha già esaurito ogni esperienza, digerito ogni cibo, cantato ogni canzone, letto e scritto ogni libro, combattuto ogni guerra, compiuto ogni viaggio, arredato ogni casa, inventato e poi smontato ogni idea», Michele Serra.

Gli sdraiati sono i protagonisti del libro di Michele Serra. Sono quelli con le gambe incollate al divano e gli occhi allo schermo. Quelli che «ancora un’altra puntata, dai» e finiscono una serie e due vaschette di gelato. Quelli che sanno riconoscere il supremo atto d’amore: alzarsi a spegnere la luce. Gli sdraiati siamo io e Filippo. Condividiamo una casa, una sveglia e un divano da due anni. Durante la prima gita all’Ikea, abbiamo comprato quattro cuscini grandi e un tavolino piccolo; durante la spedizione settimanale alla Coop, non ci facciamo mancare la vaschetta grande di variegato al cioccolato. Tutto il resto è superfluo. Fino a quando, un sabato sera: «Abbiamo perso l’ultimo tram. Dobbiamo tornare a casa a piedi». 13 chilometri immersi nella notte milanese, circondati da nottambuli in equilibrio sui marciapiedi e negozi che tornavano ad aprire gli occhi. Tornati a casa, eravamo pieni di «ti ricordi quando?», come se avessimo fatto un viaggio. «Camminare ci ha fatto bene. Dovremmo farlo più spesso». «Dovremmo farlo quest’estate». Ed è così che Giulia e Filippo sono partiti per la Francigena sparandosi 300 km come prima esperienza… Prosegue Giulia: «È faticosa e ti farà incazzare come nessun altro ha mai fatto. E questi sono i motivi per cui dovresti percorrerla:

1. Perché ti ricorderai del tuo corpo. Venti chilometri al giorno sotto il sole con uno zaino sulle spalle: il tuo corpo reclamerà tutta l’attenzione che si merita. Ma lo farà in maniera armonica, facendoti realizzare una cosa. Tu non hai un corpo. Tu sei il tuo corpo.

2. Perché cambieranno i paesaggi. Tu sei dentro quei paesaggi, un personaggio di un quadro modificato dal tuo continuo movimento. Sei al contempo artefice e testimone del cambiamento intorno a te.

3. Perché saluterai tutti e tutti ti saluteranno. Abitando in una città di persone solitarie che si rincorrono, all’inizio ci è sembrato strano. Chiunque incrociassimo aveva un minuto per noi. Ci salutava, ci chiedeva di raccontare le nostre disavventure e di fermarci per un caffè. Ci stringeva la mano e ci augurava buona fortuna.

4. Perché riscoprirai i sapori. Una vita intera a scegliere fra il cinese d’asporto e il finger food stellato. A chiederti che differenza c’è fra organico, bio, a chilometro zero. A cercare un equilibrio fra portafoglio vuoto e pancia piena. L’equilibrio lo troverai inciampando casualmente in un’azienda vinicola, in un’osteria senza tovaglie o in un frutteto.

5. Per riscoprire il valore dell’essenziale. I piedi nudi sul prato bagnato. L’acqua fresca di una sorgente. L’aria condizionata di un supermercato e i suoi snack che costano (e pesano!) poco. Le patatine che non avevi chiesto e che ti arrivano con le bevande. Le parole che non ricordi delle canzoni. Il Dio delle piccole – stropicciate, sporche – cose.

6. Per scoprire il volto vero del disagio. In casa c’è un armadio di tre ante. A me ne spettano due e mezzo. Dentro l’armadio ci sono i miei vestiti. Sopra l’armadio ci sono i miei vestiti. L’unica mezza anta di Filippo ha qualche mio vestito. Eppure, ogni mattina, lo apro e penso: “Che disagio. Non ho niente da mettermi”. Siamo la generazione del disagio, costantemente in ansia o intenta a rincorrere quello che non c’è. La connessione è lenta! Che disagio. Ha visualizzato senza rispondermi! Che disagio».

Giulia conclude con un suo pensiero e un’ultima citazione da Gli sdraiati: «Vorrei dirvi che raggiungere un obiettivo faticando è la più grande soddisfazione, la più immensa liberazione. Che non ci sarà la luce in fondo al tunnel, ma fuochi d’artificio». «So che non ti piace camminare, ma è un pregiudizio. Camminare è una guarigione. Un’esperienza di salvezza», Michele Serra.

Non si riesce neanche ad immaginare quanto si possa divagare sul Cammino toccando tutte le corde dell’umano sentire, quindi tocca chiudere ad un certo punto e non c’è modo migliore di chiudere se non con un vero inno al viaggio della vita.

Itaca  di Konstantino Kavafis

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.

I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.

In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente e con che gioia –
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta;
più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti

Sempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante.

Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.

Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.

Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Piccola bibliografia:

  • Andare a piedi. Filosofia del camminareFrédéric Gros
  • L’uomo che cammina – Christian Bobin
  • Storia del camminare – Rebecca Solnit
  • A piedi a Gerusalemme 184 giorni 184 volti – Sebastien De Fooz
  • Sentieri nel ghiaccio – Werner Herzog