CRITICA EUROPA UNITA LIBRI

Che fine farà l’Europa?

Non è un momento facile per l’Europa, mai prima d’ora così a rischio nelle fondamenta stesse dell’europeismo, come le avevano pensato i Padri fondatori. Forti spinte nazionaliste, la brexit, sempre più diffusi movimenti sovranisti, pericolose virate a destra, obiettive incongruenze delle istituzioni europee nella gestione di alcune delle attuali emergenze (gli sbarchi dei migranti, ad esempio). Tutto questo sta mettendo seriamente in crisi l’idea stessa dell’Unione, mentre si avvicinano le elezioni da cui potrebbe dipendere un decisivo passo verso l’unificazione, quanto un altrettanto decisivo passo verso la disgregazione. “Succedeoggi”, la rivista gemella di TESSERE, diretta da Nicola Fano, ha pubblicato l’articolo Europa, addio! di Paolo Petroni, recensione del libro La Capitale, dell’austriaco Robert Menasse, studioso ed esperto di questioni europee. Un romanzo sulla fine dell’illusione novecentesca di riunire, in un unico corpo istituzionale, realtà storicamente, culturalmente, socialmente ed economicamente molto molto diverse.

PAOLO PETRONI

Un romanzo curioso e intrigante, specie di questi giorni in cui il dibattito sull’Europa e la sua capacità di rinnovarsi e andare avanti sulla strada dell’unificazione o il suo disgregarsi si è fatto molto accesso e, in vista delle prossime elezioni, anche ultimativo? Lo ha scritto Robert Menasse e si intitola La capitale (Sellerio ed., pp. 448 – 16,00 euro – Traduzione di Marina Pugliano e Valentina Tortelli). Ci racconta la probabile fine di un sogno, quello di un’Europa davvero unita, attraverso un ritratto della vita quotidiana dei tecnocrati di Bruxelles, la capitale sede del governo Eu, e l’idea di un evento per celebrare i 50 anni della Commissione europea, che si fa metafora dell’attuale impasse della possibilità di portare avanti il progetto dei padri fondatori e dare un futuro reale ai paesi europei. Del resto Menasse, studioso austriaco di problemi della Eu, è stato per alcuni anni ospite della Commissione stessa, quale osservatore, e sa quindi di cosa parla, con sguardo ironico, quindi disincantato e disilluso, ma non vinto scrivendo in quest’epoca di rinascite populiste e nazionaliste.

Al centro quindi il progetto di celebrare il Jubilée della Commissione, partendo dalla frase “Mai più Auschwitz”, vedendo la Shoah come frutto terribile del prosperare dei nazionalismi durante la crisi economica tra le due guerre mondiali, per portare avanti l’istanza di un superamento dei nazionalismi e infine delle nazioni, quale aspirazione etica e politica di una vera Europa unita. Gli ultimi sopravvissuti dei lager nazisti avrebbero dovuto quindi essere testimoni di questa necessità, nata non a caso dopo la Liberazione.

Allora, accanto ai burocrati, alcuni che lavorano a definire questo progetto, altri che si muovono per affossarlo perché capi di stato e governi dei Paesi membri di questi tempi non lo avrebbero mai accettato, ecco l’anziano professor Alois Erhart e il pensionato David De Vriend. Il primo è chiamato a dare un suo contributo al think tank “New Pact for Europe”, e, tra utopia e realismo, propone senza mezzi termini, a colleghi che lo ascoltano con sufficienza, «una comunità postnazionale, nata dalla consapevolezza degli errori storici commessi», che dovrebbe costruire una sua capitale tutta nuova proprio ad Auschwitz, come unica possibilità di sopravvivenza di un’Unità dell’Europa. Il secondo è un sopravvissuto di Auschwitz che, lasciata la casa dove è sempre vissuto e andato a vivere in un pensionato per anziani davanti al cimitero di Bruxelles, muore a segnare proprio una fine definitiva, a rendere passato il passato. Come diceva Erhart «quando sarebbe morto l’ultimo in grado di testimoniare il trauma dal quale l’Europa era uscita con l’intenzione di reinventarsi, Auschwitz per i vivi si sarebbe inabissata sui fondali della memoria come le guerre puniche»….

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